Dieci anni di missione, fatta di amore, dedizione e buona volontà. I sentimenti che hanno animato fin dal principio le sorelle domenicane di Santa Maria del Rosario, guidate dalla Madre Generale Suor Paola in un percorso tutt’altro che semplice, tentando di replicare nel profondo sud dell’India quanto già sperimentato nella ben più prossima città di Prato: toccare con mano le ferite di chi, ogni giorno, è costretto ad affrontare un’alienante battaglia contro la malattia mentale e, soprattutto, far sì che il loro problema non costituisca il loro scarto da parte della società in cui vivono. Madre Paola ha guardato negli occhi la sofferenza, in Italia come nel Kerala, scegliendo quella regione alla fine del sub-continente indiano per convertire la sua vocazione in sorrisi: “In India c’è una grande esigenza in questo senso – ha spiegato a Interris.it -. E i nostri progetti vengono visti di buon occhio dalle autorità: abbiamo constato la grande difficoltà di queste persone che vivono rinchiuse nelle strutture per la sanità mentale, il più delle volte abbandonate dalle proprie famiglie che rifiutano o, semplicemente, non hanno le forze necessarie ad assistere il loro familiare. Il nostro tentativo è letteralmente ricostruire la loro speranza. Troppe volte siamo abituati a occuparci delle malattie esterne, senza guardare a questa grande sofferenza“.
Ricostruire la propria vita
A Kochi, Madre Paola e le altre suore domenicane hanno convertito la loro originaria vocazione a sostegno della scuola e dell’istruzione per consacrare la propria missione nel restituire dignità a coloro che, per colpe non loro, vivono nell’emarginazione. Per questo hanno deciso di trasformare la scuola in costruzione (nella foto, ndr) in un centro specialistico dedicato alla salute mentale: “Il progetto a in Kerala, costituisce nel rendere una struttura per la salute mentale in dismissione in un luogo di accoglienza, dove queste persone possano davvero essere seguite e assistite in modo davvero inclusivo… Non dobbiamo dimenticare che da malattie di questo tipo si può guarire. Ciò che facciamo, è lavorare attraverso laboratori e progetti di inclusione ad hoc, così da reinserirle in società. In particolare, la struttura in dismissione ci ha chiesto la disponibilità per 50 donne, con le quali vorremmo replicare quanto già fatto a Prato: offrire loro un’occasione per uscire dall’abbandono e ricostruire piano piano la propria vita”.
Un progetto per le famiglie
Non è solo la difficoltà insita in tali patologie a costituire un ostacolo al progetto (partecipato anche dall’associazione “Parole ritrovate”) ma anche le crisi familiari che nella maggioranza dei casi accompagnano l’esistenza di queste persone. Una problematica che impone non solo una riflessione ma anche un’azione di tutela delle relazioni familiari, che tengano conto anche del contesto socio-culturale del territorio in cui avviene: “Le difficoltà maggiori non sono nelle istituzioni ma nelle famiglie. Per questo svolgiamo anche per loro dei corsi specifici, affinché possano superare la crisi iniziale e svolgere un ruolo importante nel percorso di rinascita, capire che c’è bisogno di un atteggiamento di cura e non di condanna”. Una logica universale, che vale per l’India come per ogni altra società civile, in cui la sofferenza altrui diventi l’occasione per l’altro di mostrare il lato migliore di sé stesso.