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Israele ci riprova: Netanyahu è avanti

Terzo voto in dodici mesi: 37 seggi per il premier uscente

Tre prove di voto in dodici mesi circa. Se non è record, Israele ci è andato molto vicino. Stavolta però, a dispetto dei pronostici che lo volevano non guarito dal mal di empasse, il Paese ha richiamato i cittadini a dire la loro con qualche risultato in più rispetto alle precedenti chiame che hanno mandato in archivio mestamente ben due sessioni elettorali. E’ di nuovo Benjamin Netanyahu che, exit poll alla mano, si troverebbe in posizione di vantaggio: almeno 36/37 seggi al suo partito, il Likud. Il che, in sostanza, significa che il partito del premier, contando anche le alleanze, è ormai a un passo dall’ok della Knesset, che chiede 61 seggi.

La giornata

Il quadro complessivo era rimasto praticamente immutato rispetto a qualche mese fa, arricchendosi anzi di alcune variabili tutt’altro che positive, prima fra tutte l’emergenza coronavirus, che ha spinto le autorità israeliane ad allestire speciali seggi elettorali per contrastare l’eventuale diffusione del contagio. I contendenti sono gli stessi di prima: il premier uscente, Benjamin Netanyahu, che arriva al voto con un’incriminazione formale per corruzione (un unicum nella storia israeliana), e il rivale Benny Gantz (Blue e Bianco), che come l’avversario ha fallito nel momento in cui il presidente ha provato ad affidargli le chiavi del governo.

Rischio stallo

Il quadro, in attesa di capire quale sarà l’esito del voto, resta pressoché invariato, perlomeno in un’ottica di previsione: secondo gli analisti, infatti, né Netanyahu né Gantz avrebbero dalla loro i numeri sufficienti per formare un governo e, qualora ci riuscissero, che riescano a garantire un esecutivo talmente stabile da essere approvato. Nel caso del premier uscente, inoltre, pesa come un macigno l’inchiesta aperta che lo porterebbe, in ogni caso, a doversi presentare in Tribunale il prossimo 17 marzo per la prima delle udienze previste nell’ambito del processo. Un rischio di stallo che, qualora si concretizzasse a schede scrutinate, significherebbe l’assurda possibilità di tornare al voto per la quarta volta, visto e considerato che nessuno dei contendenti riuscirebbe a formare un esecutivo sotto incarico. Il che, di fatto, vorrebbe dire ulteriori mesi senza un’impostazione politica né un piano finanziario adeguato.

Frattura a destra

Il problema, per quanto riguarda Netanyahu, è soprattutto nella divisione che ancora contraddistingue la vita della destra d’Israele, specie in virtù della frattura fra il Beitenu di Avigdor Lieberman e i partiti di stampo religioso, senza dimenticare che proprio Lieberman aveva deciso, a suo tempo, di non concedere il proprio appoggio al Likud fintanto che il premier fosse rimasto in sella.

La critica presidenziale

Una situazione di cui è perfettamente consapevole il presidente Reuven Rivlin: “Ho vissuto le elezioni in Israele praticamente fin dalla fondazione dello stato – ha spiegato -. E’ sempre stata una festa della democrazia, ma oggi provo solo un senso di vergogna davanti ai cittadini”. Che di certo, dopo aver gioco forza fagocitato il terzo, non gradirebbero il quarto richiamo alle urne.

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