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Migranti, l’Unhcr: “Emergenza umanitaria senza precedenti”

A Interris.it, Federico Fossi chiede l'impegno dell'Ue per gestire l'accoglienza

Dimenticate l’isola suggestiva descritta dalla poetessa greca Saffo. Oggi Lesbo è una bomba umanitaria senza controllo, con il confine turco ormai inefficace. L’onda dell’immigrazione ha raggiunto il Mediterraneo orientale e la situazione, sia sulle isole che sulla terraferma, è lontana da una gestione controllata. Lungo il fiume Evros, per esempio, il filo spinato rappresenta un deterrente per gli sparuti gruppi di profughi. Non per una fiumana accalcatasi a causa del sovraffollamento di luoghi che da campi di accoglienza sono divenuti centri di detenzione. Ad esacerbare la situazione c’è anche il contesto politico. La polizia greca spara con gas lacrimogeni sulla folla, noncurante di famiglie con bambini al seguito. E così la Greca rivive l’incubo del 2015, solo che stavolta gli interlocutori politici sono cambiati. A Moria, il sidanco Kateris Ktelis ha invitato i suoi concittadini a bloccare i profughi: operatori umanitari calcolano che nei campi profughi in loco vi sono almeno 19.800 migranti in campi che hanno una capienza massima di tremila.

La posta di Erdogan

Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, chiede all’Unione europea un aiuto ulteriore: almeno tre miliardi per consentire ad Ankara di accogliere almeno 3,6 milioni di rifugiati principalmente siriani, afghani ed iracheni. E sebbene la autorità di Atene accusino la Turchia di favorire quest’onda caotica, l’Unione europea fa fronte al fallimento degli accordi con la Turchia del 2016. La Grecia non ci sta: il governo di centrodestra con la guida di Kyriakos Mitsotakis ha espresso una linea dura sulle politiche di accoglienza, considerando addirittura l’eventualità di erigere una rete di 50 cm sulle acque prospicienti l’isola di Lesbos, così come la costruzione di centri di detenzione nelle aree. L’ultima trovata è quella di un sms inviato a tutti i telefonini che si agganciano alle celle di Atene: “La Grecia ha portato al livello massimo la sicurezza del confine: non cercate di attraversare” è l’invito ai migranti dall’altra parte del filo spinato.

Situazione limite

In questa situazione al tracollo, L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) non ha celato una seria preoccupazione per l’escalation dei disordini. Ieri l’Agenzia delle Nazioni Unite ha lanciato un appello affinché almeno 20mila dei 40mila profughi confinati sulle isole sia trasferito al più presto nel continente. Interris.it ha intervistato Federico Fossi, dell’Ufficio Comunicazione dell’Unhcr.

Che situazione è attualmente in corso in Grecia?
“Sulle isole, la situazione è preoccupante. A Samos, Lesbos, Chio, Kos ci sono centri sovraffollati. A Samos, un centro di accoglienza che dovrebbe accogliere 650 persone, al momento ne alloggia 7mila. Moria, sull’isola di Lesbos, ha una capienza di 2mila posti, ma oggi accoglie 18mila persone, moltissime addirittura accampate fuori dalla struttura. È una situazione che si trascina così dal 2015, pochissime persone sono state trasferite sulla terraferma e il governo greco ha circa 90mila domande di asilo da esaminare: tutto il sistema è prossimo al collasso perché in 5 anni non si è mai data una risposta a questa crisi. Tra ieri e la mattina di oggi sulle isole del Mar Egeo orientale sono arrivate oltre 1200 persone”.

In che modo state offrendo assistenza?
“Stiamo fornendo assistenza attraverso i partner locali e la Mezzaluna Rossa turca, l’Unicef, l’Oim. Cerchiamo di offrire un aiuto alle persone più vulnerabili. Principalmente si tratta di Siriani, Afghani, Iraniani, Sudanesi. In Italia ci siamo focalizzati sulla rotta nel Mediterraneo centrale, sugli arrivi dalla Liba verso il nostro Paese, ma la rotta del Mediterraneo orientale ha avuto numeri più alti in questi ultimi anni con un visibile incremento in questi giorni”.

E la situazione sulla terraferma, invece?
“Anche sul continente stiamo monitorando distribuendo assistenza umanitaria attraverso partner locali. C’è una situazione di forte tensione ed è che si affievolisca al più presto. Abbiamo lanciato un appello alle autorità, chiedendo di evitare l’uso eccessivo e sproporzionato della forza e di assicurare il funzionamento di sistemi che consentano di prendere in carico domande di asilo secondo procedure ordinate. Chiediamo alle autorità di astenersi dall’adottare misure che potrebbero causare ulteriori sofferenze alle categorie più vulnerabili. Donne e bambini giungono presso il confine in condizioni precarie. Chi fa ingresso irregolarmente sul territorio di un altro Stato non può essere sanzionato se presenta domanda d’asilo”.

Quali sono le emergenze incombenti in loco?
“Ci sono migliaia di donne e bambini costantemente esposti al freddo e alle piogge. Hanno un accesso ridotto, se non nullo, ad utenze essenziali come il riscaldamento, l’elettricità e l’acqua calda. Le condizioni igienico-sanitarie sono al limite. C’è stato anche un aumento dei problemi di salute, molte persone non riescono ad essere visitate. Facciamo appello alla comunità internazionale e all’Europa affinché assicuri risorse e sostegno alla Grecia e perché mantenga ed intensifichi il proprio contributo in favore della Turchia, paese che ospita il maggior numero di rifugiati al mondo. È molto importante anche sottolineare un altro aspetto: siamo molto concentrati sulla situazione in Grecia, ma a Idlib, nel nord-ovest della Siria, 950mila sfollati restano bloccati. Il mandato come Unhcr è di natura umanitaria e l’imperativo è quello di assistere chi fugge da guerre e persecuzioni. La comunità
internazionale deve affrontare e rimuovere gli ostacoli, trovando una soluzione politica e
diplomatica a conflitti, ormai cronicizzati”

E come relazionarsi con le realtà locali?
“È importante che si riconquisti la fiducia delle comunità locali tramite l’adozione di misure
governative che siano pienamente sostenute dall’UE. Nel 2015 sulle stesse coste mi colpì molto la presenza di tanti bambini e numerose famiglie. Sappiamo che i rifugiati nel mondo nell’80% dei casi si fermano nei Paesi limitrofi alle aree di conflitto, ma quando le condizioni di vita diventano precarie ed i conflitti non accennano a trovare una soluzione, i rifugiati si spostano oltre quei paesi. Quelle famiglie non si sarebbero spinte oltre i paesi di prima accoglienza se non per il bisogno di garantire un futuro ai loro figli”.

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