Per i lavoratori di Istanbul è la seconda strage nel giro di pochi mesi. Il secondo caso, da maggio, in cui a perdere la vita sono operai del settore edilizio. Dopo l’esplosione della miniera di Soma in cui morirono 275 persone, sabato scorso il “pane” è costato caro ad altri dieci muratori, che sono precipitati dal trentaduesimo piano a causa della rottura dell’ascensore di un cantiere nel quartiere di Sisli, sulla riva europea della megalopoli Turca.
Le proteste sono cominciate ieri e stanno continuando questa mattina: a Sisli marciano indignate circa mille persone e in capo alle file della manifestazione c’è il partito d’opposizione Hkp: “Visto che l’obiettivo principale dei proprietari di questa impresa è fare più denaro e profitti – afferma un militante alle telecamere di Euronews – non importa loro se gli operai muoiono nei cantieri”.
E la denuncia dell’opposizione va diretta al governo islamico-moderato di Erdogan, primo ministro turco dal 2003 e capo di Stato a partire dallo scorso agosto. Quel che reclama l’opposizione di Hkp sono “ispezioni rigorose nei cantieri”. La Turchia è il terzo stato al mondo per mortalità sul lavoro, e l’importanza che il presidente ha dato allo sviluppo del settore edilizio, secondo i manifestanti, sta sacrificando enormemente la vita degli operai. “In questo senso è un massacro – afferma un uomo tra la folla del corteo – è perfino peggio dell’omicidio, visto che sapevano già che sarebbe potuto accadere”.
Il proprietario dell’edificio “killer” è Aziz Torun, magnate dell’edilizia che, secondo il quotidiano turco “Todays Zaman”, stava progettando proprio in quel luogo la costruzione di un edificio residenziale di lusso. La testata, in un articolo, afferma che “le misure di sicurezza non sono probabilmente mai state rispettate all’interno del cantiere”, e che “in questo caso è stata la negligenza la causa principale del disastro”.