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Scoop di In TerrisSi apre il dibattito sulla psicosi-Ebola

Ne ha parlato Bruno Vespa a Porta a Porta, presente il ministro Lorenzin che poche ore prima aveva emesso un comunicato ufficiale del Ministero della Salute; e poi i telegiornali Rai e Mediaset, thalk show, Corriere della Sera, la Repubblica e decine di altre testate giornalistiche tra radio, tv, web e carta stampata. Lo scoop di In Terris nel quale abbiamo raccontato la vicenda della bambina di 3 anni che non ha potuto frequentare per una settimana la scuola dell’infanzia solo perché reduce da una vacanza in Uganda e considerata da alcune mamme “portatrice di Ebola” ha posto all’attenzione del dibattito l’aspetto culturale della psicosi collettiva.

Su questo è intervenuto Fernando Aiuti, professore ordinario di Medicina interna, direttore e docente della Scuola di specializzazione in allergologia e immunologia clinica, coordinatore del dottorato di ricerche in Scienze delle terapie immunologiche presso l’università degli studi ‘La Sapienza’ di Roma, specialista in Malattie infettive e Cardiologia e libero docente in Malattie infettive e in Immunologia clinica. Insomma, un esperto. “Le grandi città hanno grandi aeroporti e grandi centri dove intervenire- spiega Il prof. Aiuti all’agenzia Dire -. Prendiamo ad esempio Roma, dove lo Spallanzani, il Gemelli e l’Umberto I hanno attrezzature adeguate per l’isolamento”. Il ministero, comunque, sottolinea Aiuti, “con lo stanziamento di 50 milioni di euro ha voluto intendere una maggiore e capillare iniziativa per gli altri ospedali italiani”. Ebola e’ un virus a forte rischio contagio “per via della sua concentrazione, molto forte, molto elevata. Nella persona malata si replica anche nella secrezione, nelle urine. Come pure nella mucosa respiratoria. Se una persona ha un colpo di tosse, un grumo finisce negli occhi, nella mucosa orale di un’altra che lo assiste, il contagio è probabile. Ma anche se tocca con mano e poi se la mette in bocca o negli occhi”.

Aiuti conferma come il rischio di contagio maggiore possa avvenire tra persone che transitano negli aeroporti (Fiumicino, appunto) piuttosto che tra gli immigrati che arrivano, ad esempio, nelle coste siciliane per il cosiddetto ‘viaggio della speranza’: “Ma certe misure di prevenzione, e qui sono critico, vanno prese anche nei nostri aeroporti anche se da noi non c’è un volo diretto con i Paesi contagiati. Qualcuno potrebbe partire da lì, andare magari a Parigi o a Londra e poi dopo qualche giorno venire in Italia”.

E questo prescinde dal colore della pelle. La psicosi che ha coinvolto la bimba ugandese forse non sarebbe accaduta se non fosse stata di colore; associare la malattia all’Africa e quest’ultima al colore della pelle è un esercizio antistorico e antiscientifico, eppure accade.

Aiuti poi entra nel merito del caso sollevato da In Terris: “Questi sono casi da condannare – spiega Aiuti -. Non c’è alcun rischio. Rivivo i tempi in cui dovevo fare campagne di informazione nelle scuole per l’Aids, con bambini cacciati o non accettati a scuola. Dovevo fare informazione perché minori nomadi o stranieri o sieropositivi venivano rifiutati. È una paura immotivata. Sono cose ridicole”.

 

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