È cominciata poco dopo le 10.30 ed è durata circa tre ore e mezza, la deposizione del Presidente Giorgio Napolitano davanti alla Corte d’assise di Palermo nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia nei primi anni 90. Due i principali punti di interesse per la Corte: la lettera del consigliere giuridico Loris D’Ambrosio e l’allarme del Sismi del ’93 sui rischi attentati. Il Presidente ha risposto a tutte le domande poste dai giudici e dal legale di Riina, chiedendo di poter parlare anche di dettagli non strettamente necessari alla deposizione.
Secondo indiscrezioni di stampa, la parola “trattativa” non è stata mai pronunciata: la Procura ha però chiesto degli “indicibili accordi” citati nella lettera con cui l’ex consigliere giuridico del Capo dello Stato, a giugno del 2012, rassegnò le dimissioni, dopo la campagna di stampa seguita alla diffusione delle sue intercettazioni con l’ex ministro Nicola Mancino. Il Presidente ha risposto in modo netto: “D’Ambrosio non me ne parlò. Non discutevamo del passato: guardavamo al futuro”.
Riguardo agli attentati di Firenze, Roma e Milano nella primavera-estate del 1993 Napolitano, all’epoca presidente della Camera, ha spiegato: “fu subito chiaro che erano nuovi sussulti della fazione più violenta di Cosa nostra, per porre lo Stato di fronte a un aut aut; o si alleggeriva la pressione nei confronti della mafia o si rischiava il proseguimento degli attacchi destabilizzanti”. Nel 1993, secondo l’ipotesi della Procura, le bombe portarono alla resa dello Stato, culminata nelle revoche di oltre 300 provvedimenti di 41 bis per i capimafia. Napolitano avrebbe ricostruito tutto il periodo partendo dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, ricordando che mai le forze politiche si divisero sulla esigenza di dare un segnale al “nemico mafioso”, anche attraverso la normativa sul carcere duro che era in via di conversione.
Il Presidente parla poi dei timori di Ciampi, all’epoca premier, per un possibile colpo di Stato se fosse proseguita la stretta sui boss. La notte delle bombe, avrebbe spiegato Napolitano, ci fu un black out telefonico, tipico ingrediente del golpe. Una situazione di “fibrillazione e attacco frontale allo Stato” che però non impedì, secondo il Presidente, una prosecuzione della “lotta senza quartiere” alla mafia, non inficiata dalle minacce personali.