Le cure più comuni che permettono di affrontare l’Epatite B sono quelle a base di interferoni ed altri medicinali e vengono somministrate per lunghi tempi, anche per tutta una vita. Entrambe hanno lo scopo di indurre la condizione di portatore inattivo, ma non vincono l’infezione e non riescono, di conseguenza, a limitare la possibilità di cancro al fegato. Inoltre, hanno un costo che sfiora spesso 5-6mila euro all’anno a paziente e anche se le terapie vengono rimborsate dal Sistema Sanitario Nazionale, rappresentano comunque un’ingente spesa.
Si è parlato di questa problematica durante il Congresso Nazionale della Simit (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali), conclusosi ieri a Genova. Durante la conferenza, che ha tentato anche di dar voce ad argomenti meno affrontati negli ultimi anni dal mondo della medicina, sono stati presentati i nuovi farmaci – ancora in fase di sperimentazione – che permetterebbero di curare definitivamente questa malattia: “La scoperta del recettore del virus dell’epatite B – ha spiegato Prof. Massimo Puoti di Milano, Direttore del Reparto Malattie Infettive Ospedale Niguada di Milano e infettivologo della Simit – consentirà di poter sperimentare nuove tecniche curative che non durino tutta la vita. Queste nuove metodologie bloccano l’ingresso del virus nella cellula, creano una situazione di inibizione, mentre altri farmaci aiuteranno a reagire ad alti livelli, bloccando la sintesi del virus”.
Il professore, poi, ha aggiunto che questa non sarà una vera e propria cura microbiologica, ma agirà a livello funzionale: basterà una compressa al giorno e ci vorranno almeno 4-5 anni per stabilire la certezza della sua efficacia. Al momento, hanno aggiunto i relatori, non c’è nessuna idea sui costi.
