L’ultimo era stato Giovanni Paolo II nel 1988. A 10 anni dall’inizio del suo pontificato Karol Wojtyla si presentò davanti al Parlamento Cee (l’Unione Europea sarebbe nata solo 4 anni dopo) in un quadro politico completamente diverso. Esistevano ancora, giusto per capirsi, l’Unione Sovietica, la Jugoslavia e la Cecoslovacchia. Molti Paesi erano sotto il giogo della dittatura comunista e il muro di Berlino tagliava in due il cuore del Vecchio Continente. Era l’11 ottobre, la stessa data scelta 25 anni dopo da Martin Schulz per rivolgere a Francesco l’invito formale a Strasburgo. Dal Pontefice Santo a quello degli ultimi, un filo sembra collegare questi papi. Wojtyla aveva posto al centro del suo intervento tre punti: la custodia del creato, la solidarietà verso i migranti e i rifugiati e la ricostituzione di una visione integrale dell’uomo. Temi che non perdono mai valore, anzi, cresce la necessità di riaffermarli. Ieri c’era l’Europa schiava della politica, oggi quella ostaggio degli errori (e tante volte anche orrori) della finanza. Un sistema che non smette di creare periferie sociali, abbandonandole a se stesse. E una civiltà che, in omaggio a una concezione distorta della laicità, si è dimenticata le sue origini cristiane, ignorando i frequenti appelli a riguardo di Bendetto XVI.
Argomenti che saranno al centro, se non dell’intervento all’Europarlamento, almeno dei colloqui privati che il Pontefice terrà con i vertici di Strasburgo. La solidarietà umana, in particolare, è uno dei punti cardine del Pontificato di Bergoglio, come ha ricordato in un’intervista al Centro Televisivo Vaticano il Segretario di Stato Card. Pietro Parolin. “Essa non è solo uno dei valori dell’Ue ma anche l’obiettivo della sua esistenza – ha spiegato il porporato – e la giusta prospettiva anche per affrontare questo tema è quella di una visione integrale dell’uomo, che è il terzo aspetto della visione e della proposta di Giovanni Paolo II. Un uomo considerato in tutte le sue dimensioni, compresa quelle spirituale e trascendente”. Tematiche di cui troppo spesso Strasburgo e Bruxelles non si occupano, finendo con l’assumere, agli occhi dei cittadini, l’aspetto di capitali della burocrazia e del rigore.
Come dimenticare, a tal proposito, il dramma dei flussi migratori? Migliaia di disperati che ogni giorno fuggono dalla guerra e dall’orrore e trovano poche porte aperte ad accoglierli. “La cultura del benessere porta alla globalizzazione dell’indifferenza” aveva detto il vescovo di Roma durante la sua visita a Lampedusa, a pochi metri dal Mediterraneo, divenuto cimitero degli immigrati. Senza dimenticare la piaga della crisi economica: i dati sulla disoccupazione giovanile sono allarmanti. Eppure, sinora, la preoccupazione principale dei vertici europei è stata quella di garantire la stabilità dei conti pubblici dei 28 Stati membri. Ma guardare solo ai numeri può risultare pericoloso. Lo dimostra il successo crescente dei partiti euroscettici (dal Movimento 5 Stelle sino all’Ukip di Nigel Farage) che vorrebbero piazzare una pietra tombale sull’esperienza dell’Ue.
La riscoperta dello spirito fondante del progetto politico europeo sarà, con ogni probabilità, dunque l’anima del discorso di Bergoglio. Ma sul tavolo ci saranno anche i conflitti insoluti tra Santa Sede e Consiglio d’Europa. A partire da quello legato all’affissione del crocifisso negli edifici pubblici. L’ultimo atto di questa spinosa vicenda è una sentenza della corte dei Diritti Umani del 2013, che ha escluso il diritto degli impiegati a portare la croce come ornamento. Per non parlare delle questioni legate alla bioetica e ai matrimoni omosessuali. Sul punto Strasburgo ha sempre fatto prevalere una linea di totale e indiscriminata apertura, ponendosi in contrasto con la dottrina della Chiesa.
Infine c’è il caso Ior. Nel 2012 Moneyval, la divisione del Consiglio che valuta i sistemi antiriciclaggio, ha pubblicato un rapporto dedicato all’Istituto delle opere religiose. Il giudizio era conforme per 9 raccomandazioni centrali su 16 ma veniva richiesta “la vigilanza prudenziale di un supervisore indipendente”. Su questo argomento le vedute di Francesco e di Strasburgo sembrano coincidere. “Lo Ior è per l’aiuto della Chiesa – ha detto tempo fa il Papa annunciando la chiusura di 1.600 conti – hanno diritto vescovi e diocesi, dipendenti del Vaticano, le loro vedove, le ambasciate, ma niente di più”. Ma per una frattura ricomposta troppe ne restano aperte. L’Europa ha il dovere di cambiare rotta, soprattutto nella cura dei più fragili. Un altro Pontefice proverà a scuoterla dal torpore. Sperando che, stavolta, la sua voce non si perda nel vento.