Per Giorgio Napolitano il tempo dei saluti è appena iniziato: le dimissioni dell’attuale capo dello Stato a inizio 2015 sono pressoché certe. Resta qualche dubbio solo sulla tempistica di questa decisione. Qualcuno aveva ipotizzato che il “passo indietro” potesse avvenire già a fine anno, salvo poi essere smentito dal Colle stesso: il Presidente deciderà solo dopo la chiusura del semestre italiano (che avverrà il prossimo 13 gennaio con il discorso a Strasburgo del premier Matteo Renzi). A partire da quella data ogni giorno sarà buono per mettere la parola fine sul mandato più lungo della storia della Repubblica. E mentre Napolitano prosegue (tra una confidenza e l’altra) il giro di commiati con chi in questi 8 anni e mezzo lo ha accompagnato nel suo lavoro, nei partiti si scatena il toto Quirinale. Le esigenze da comporre sono diverse e alla fine, ci si può scommettere, qualcuno resterà a bocca asciutta.
L’ago della bilancia, ancora una volta, sarà Renzi. Spetterà a lui ascoltare, cucire e disfare accordi per giungere a dama il prima possibile. Magari evitando gli scontri (dentro e fuori il Parlamento) andati in scena in occasione della rielezione di re Giorgio. Per il presidente del Consiglio la spina nel fianco assume i contorni del patto del Nazareno, siglato lo scorso gennaio con Silvio Berlusconi. E’ stato proprio l’ex Cavaliere a mettere in imbarazzo il capo del Governo svelando un segreto di Pulcinella: nell’accordo rientra anche la corsa al Colle. Sarà forse per lanciare un messaggio all’opinione pubblica (del tipo “i giochi non sono fatti”) che il giorno dopo Renzi ha visto Romano Prodi, il nome più inviso a Berlusconi. Ma al di là delle schermaglia e delle smentite di rito è difficile pensare che il nuovo presidente della Repubblica possa uscire dal seminato del Nazareno; c’è troppo in ballo, a partire dalle riforme. Serve un nome condiviso dunque e le scelte non mancano.
La più suggestiva è quella che porta a Roberto Pinotti. Una donna al Quirinale si sposerebbe con l’idea di rinnovamento che Renzi vuole imprimere al Paese, in più gli consentirebbe di concludere quel rimpasto di governo appena accennato dopo la promozione di Federica Mogherini a Lady Pesc. Poche chance, invece, per Walter Veltroni che viene sempre tirato in ballo quando si parla di Quirinale salvo poi essere bruciato. Eppure l’ex sindaco di Roma potrebbe rappresentare un alternativa importante. Proviene ed è il fondatore materiale del Pd ed è stato anche il primo leader di centrosinistra della seconda Repubblica ad abiurare l’antiberlusconismo come strategia vincente. Renzi, in fondo, sta seguendo la sua strada, aggiungendoci quel po’ di populismo di cui Veltroni era sprovvisto. Fuori dai giochi Mario Monti, condannato (insieme alla sua Scelta Civica) all’irrilevanza politica e, oltretutto, visto dagli italiani come Dracula il vampiro. Out anche D’Alema, il quale paradossalmente piace più a Berlusconi che a Renzi e, di conseguenza Anna Finocchiaro, esponente di rilievo della corrente dem che fa capo al Lider Massimo.
Un nome buono potrebbe essere quello di Piero Grasso: uomo delle istituzioni, volto nuovo del Parlamento, non eccessivamente compromesso politicamente. Infine ci sono gli evergreen, cioè i grandi vecchi del Parlamento che, in caso di impasse, potrebbero rappresentare un’ancora di salvezza: uno su tutti, Giuliano Amato, ma anche Lamberto Dini. La tentazione per Renzi, però, si chiama Stefano Rodotà, l’uomo giusto per avvicinare il l’universo a 5 Stelle (elettori compresi). Ma l’ex Garante della privacy tornerebbe in auge solo se il patto del Nazareno dovesse arenarsi. Scenario che Renzi e Berlusconi vogliono scongiurare a ogni costo.