Siamo in una terza guerra mondiale a pezzi. Non possiamo prescindere dalle parole di Papa Francesco nel provare ad analizzare la situazione geopolitica nella quale si affaccia il nuovo anno. E non solo per i 27 conflitti internazionali sparsi ancora per il mondo, quanto perché – come è fisiologico – la maggior parte di essi è legata a interessi economici, il che in un momento di recessione globale diventa un’ulteriore spoletta pronta ad essere strappata in nome dell’interesse finanziario di un Paese e della conservazione del proprio peso internazionale. Che vede nuovamente Usa e Russia contrapposte come durante la Guerra Fredda, stavolta però senza blocchi definiti e omogenei a supportarle.
Il nucleare, ad esempio. Gli Stati Uniti hanno avviato una collaborazione informale con l’Iran che avrebbe avuto maggior respiro se non fosse stata stoppata dagli Emirati Arabi i quali hanno fatto pesare il proprio ruolo strategico nelle forniture di greggio, infastiditi dalla crescente influenza proprio dell’antica Persia nello scacchiere mediorientale. Obama non esclude persino l’apertura di un’ambasciata, ma è un fatto che l’accordo tra l’Iran e le potenze mondiali proprio sul programma nucleare è stato rinviato. La scadenza fissata per il 24 novembre è stata mancata; il round di colloqui a Vienna si è concluso con un nulla di fatto e con l’annuncio di una proroga di altri sette mesi, fino al 30 giugno 2015.
Agli Usa farebbe comodo avere l’Iran vicino, soprattutto per indebolire ulteriormente una Russia in crisi di liquidità e stretta nella morsa delle sanzioni dopo l’affaire-Kiev, anch’esso legato alle disponibilità di gas – e dunque di energia – da trasferire all’Europa. Ma è una strada difficile da percorrere, il cui bivio principale è in Siria, da anni segnata dalla guerra civile.
Nella terra di Assad – storicamente vicina alla Russia – si sta combattendo su due livelli; quello strettamente interno, e quello con l’Isis – l’autoproclamato Stato islamico – che si è insinuato nel conflitto approfittando della situazione per conquistare posizioni; e allargando di fatto il bacino già cooptato in Iraq con la forza. L’Isis sembra aver però esaurito la propria capacità di espansione, almeno territoriale. Resta il rischio attentati a destabilizzare l’operato dei governi, ed è per questo che non va sottovalutato.
Usa e Russia si confrontano anche sull’Ucraina. L’annessione della Crimea, l’appoggio ai separatisti, sono strategie di Putin per riprendere il controllo totale dell’area del Mar Rosso. Gli Stati uniti rispondono aprendo a Cuba, una svolta storica – aiutata dall’intervento del Pontefice – che però l’America monetizza più sul confronto a distanza con Mosca che sulla reale possibilità di normalizzare la posizione con la patria di Fidel Castro; non foss’altro per la più che probabile riconquista del potere dei Repubblicani.
In questo scacchiere di interessi che passano lungo il crinale della fornitura mondiale di energia, troviamo – appunto – gli scontri armati: Siria, Medio Oriente, Ucraina. E Striscia di Gaza, dove Israele ha appena incassato il veto americano al riconoscimento dello Stato palestinese; una vicenda meno collegata agli interessi economici diretti delle potenze internazionali (per quanto sotto il controllo ebraico ci siano ampi settori della finanza globale) ma utile per far pesare la politica.
Il 2015, infine, potrebbe riservare un’altra sorpresa: il riavvicinamento delle due Coree. Anche in questo caso i primi passi concreti- fatti proprio a inizio anno – sono stati susseguenti a un’opera di mediazione voluta dal Vaticano, che evidentemente cerca la pace non solo nei discorsi dalla finestra di piazza San Pietro ma attraverso la diplomazia, la quale non a caso ha aperto canali importanti anche con la Cina. Sminare la parte asiatica del globo potrebbe voler dire evitare nuove escalation di violenze, isolare il conflitto in Medio Oriente e avere tempo per eliminare l’Isis. Una road map che passa però necessariamente per la soluzione delle tensioni in Siria, diventata il tabellone del Risiko dove tutte le forze in campo hanno piazzato – visibile o meno – il proprio carro armato. E’ lì che la terza guerra mondiale imploderà o esploderà.