Nostalgia canaglia dei banchi di scuola, del professore simpatico e di quello severo, delle assemblee di istituto, dei collettivi ma anche di interrogazioni e compiti in classe. Quando entri nel mondo degli adulti e inizi a lavorare capisci il senso delle parole di tuo padre: “un giorno rimpiangerai gli anni da studente”. E’ proprio così, almeno per la maggior parte di noi. Quella sana incoscienza e la spensieratezza con la quale si affrontava tutto, compreso un 5 in pagella a fine quadrimestre. Ma soprattutto le lunghe vacanze estive: 3 mesi di libertà senza dover combattere con colleghi, datori di lavoro e piani ferie.
Un bel ricordo che, forse, i nostri figli non avranno se dovessero trovare ascolto le parole di Giuliano Poletti, intervenuto ieri a Firenze a un convegno sui fondi sociali europeo su un tema delicatissimo.”Un mese di vacanza va bene -ha detto il ministro del Lavoro -. Ma non c’è un obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione. Una discussione che va affrontata”. “I miei figli d’estate sono sempre andati al magazzino della frutta a spostare le casse. Sono venuti su normali, non sono speciali”. Nessun allarme: si tratta solo di un’idea per favorire l’inserimento delle nuove generazioni nel mondo del lavoro. “I miei figli – ha precisato Poletti – non sono speciali, non sono straordinari ma normali”.
Secondo il ministro occorre quindi cominciare a pensare che una relazione con il lavoro “è una cosa che vale la pena di fare”. Un modo anche, secondo il ministro, “per garantire una formazione”. “Anche noi genitori, la società, dobbiamo riconsiderare il tema del lavoro e le giovani generazioni. Un mese di vacanza va bene, un mese e mezzo – ha proseguito il ministro – ma non c’è un obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione. Una discussione che va affrontata”. Secondo il ministro, insomma, non si distruggerebbe un ragazzino se invece “di stare a spasso per le strade della città va a fare quattro ore di lavoro”.