Pensare alla chirurgia plastica in Occidente fa venire in mente la spasmodica ricerca della perfezione estetica. Stuoli di donne e di uomini insoddisfatti sono disposti a spendere migliaia di euro per rifarsi il naso, il seno, togliere un rotolo di pancia, tirare gli zigomi, eliminare le zampe di gallina. Il trionfo dell’effimero, tolti alcuni particolari casi dove il fattore psicologico è preminente. Ma ci sono parti del mondo dove l’aspetto estetico è un lusso che non ci si può permettere, dove la frase “migliaia di euro” non è contemplata del vocabolario di interi villaggi, dove la malattia e la povertà vanno a braccetto, tracciando i binari di una vita difficile.
“Quando mio figlio è nato – racconta Aamira, una giovane mamma del Togo – è stato subito evidente che qualcosa non andava nel suo viso. Si trattava di labbro leporino, una malformazione congenita che deturpava la sua bocca e il suo volto. Per me è stato davvero traumatico, non riuscivo ad accettare il bambino e facevo fatica anche a guardarlo. Nel villaggio le altre donne hanno iniziato a non salutarmi più e ad escludermi, perché credevano che quella deformità fosse colpa dell’influenza di uno spirito maligno. Nessuno poteva operare o curare il mio bimbo, ero disperata. Così, quando mi hanno detto che un medico italiano sarebbe venuto nell’ospedale Saint Jean de Dieu, non ho esitato a mettermi in cammino con il mio bambino sulle spalle per raggiungerlo e chiedere aiuto”.
Ma l’Africa non è per nulla piccola, e le distanze sono faticose da colmare: “Il viaggio – prosegue – è durato due giorni. Il bambino aveva pochi mesi. Quando ho visto il risultato, non potevo credere ai miei occhi. Non mi sembrava possibile che quello fosse il mio bambino e che la sua malformazione fosse completamente sparita. Dopo una settimana siamo tornati per togliere i punti e il bambino ha fatto al dottore il regalo più bello: il primo sorriso”.
Un piccolo miracolo reso possibile da chi sceglie di dedicare parte della propria vita, personale e professionale, agli ultimi, a quei popoli dimenticati dalla cosiddetta “civiltà”. E’ la chirurgia plastica umanitaria di Aicpe onlus, che presta volontariato in Guatemala, Togo e altri paesi africani. L’associazione, branca di Aicpe (Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica) dedicata al volontariato, è attiva dal 2013 e si occupa di sostenere i chirurghi plastici impegnati in progetti no profit in giro per il mondo. Uno schiaffo a chi esercita la professione di chirurgo plastico con l’unico obiettivo di arricchirsi.
Quello di Aamira è solo uno dei tanti sorrisi restituiti alla gente dell’Africa. “Siamo stati per la prima volta in Guatemala grazie alla collaborazione con ‘Sulla Strada onlus’, una Ong che da 14 anni opera nel Paese – spiega Bernardi Claudio Bernardi, chirurgo plastico romano e presidente di Aicpe onlus -. In particolare nel villaggio maya La Granadilla, a 100 km dalla capitale Guatemala City, dove, insieme al nostro socio Paolo Rosa ed altri chirurghi, abbiamo eseguito operazioni di chirurgia plastica tra pazienti indigenti».
In tutto, durante la settimana di missione, sono state operate circa 60 persone per un totale di 75 interventi chirurgici, vista la concomitanza di diverse patologie nello stesso paziente. “I problemi principali della popolazione sono legati a malformazioni congenite e soprattutto ad ustioni causate dall’esplosione da polvere da sparo (il lavoro con i fuochi d’artificio è la principale occupazione della zona), che non vengono adeguatamente trattate nella fase acuta ed esitano in processi di retrazione fibrotico-cicatriziali spesso gravemente invalidanti. Gli ospedali locali – afferma Bernardi – sono distanti e difficilmente raggiungibili e comunque non accessibili da parte della popolazione indigente”.