Degradate, fatiscenti, invivibili. Lo stato delle carceri italiane continua a tener banco. Chi sbaglia deve pagare, questo è chiaro, ma ciò non significa obbligarlo a trovarsi in ambienti che di umano non hanno nulla. In questo modo la pena diventa un incubo e la possibilità di un reinserimento sociale del detenuto va a farsi benedire. L’ultimo allarme sulle nostre prigioni riguarda la “fuga” del personale di polizia penitenziaria. Ne parla un rapporto della Cgil Funzione pubblica che deve far riflettere. Specie in un momento in cui lo stesso ministero della Giustizia, coinvolgendo una serie di esperti, ha lanciato gli Stati generali dell’esecuzione penale per capire meglio quali interventi servano per il mondo carcerario; e mentre dagli istituti penitenziari arrivano quasi quotidianamente notizie indice di problemi: dalla mancanza d’acqua, agli agenti aggrediti, al caso avvenuto ad Enna delle terribili sevizie su un recluso protrattesi per un mese ad opera dei compagni di cella, su cui è’ stata aperta un’inchiesta.
Il fenomeno più macroscopico di questa problematica riguarda gli agenti che si spostano dalle carceri agli uffici amministrativi attraverso un sistema di mobilità a “chiamata diretta”, ossia parallela rispetto a quella a domanda che elude la necessaria equità e trasparenza che quest’ultima garantisce. “In una pianta organica già insufficiente – ha spiegato segretario nazionale della Fp Cgil, Salvatore Chiaramonte – registriamo un fenomeno di mobilità parallela, che risponde a regole non trasparenti e dimostra la palese mala gestione del sistema. Se il 10% di personale, secondo procedure poco chiare, va a fare altro, vuol dire che siamo di fronte a un fenomeno che i vertici dell’amministrazione della Giustizia avrebbero dovuto contrastare, ma al momento, malgrado qualche flebile segnale, non c’e’ alcuna visibile inversione”. I numeri inseriti nel report indicano in 45mila la dotazione organica prevista e necessaria nelle strutture penitenziarie italiane, a fronte delle 38mila unità effettivamente attive. Di queste ultime, tuttavia, oltre 3.500 non sono impegnate all’interno delle carceri, ma in uffici esterni, il che porta a oltre 10mila il reale deficit di personale negli istituti.
Nel dettaglio tra Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ministero della Giustizia e Centro amministrativo “Giuseppe Altavista”, sono addetti al lavoro d’ufficio circa 1.600 agenti, tra effettivi e distaccati, mentre negli enti esterni, tra cui tribunali e magistratura di sorveglianza, risultano essercene 400. Nei Provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria sono impegnati in lavoro d’ufficio circa 800 unità, altre 500 sono nelle Scuole di formazione e aggiornamento e, infine, quasi 200 prestano servizio negli Uffici locali per l’esecuzione penale esterna. Ciò determina una carenza di risorse umane che incide sul peggioramento delle condizioni lavorative nelle carceri. Il dossier, infatti, evidenzia un aumento delle aggressioni agli agenti pari a oltre 200 casi, circa il 10% in più del primo semestre 2015 sullo stesso periodo 2014; impennata anche per i procedimenti disciplinari, saliti del 10%, con punte di oltre il 50% in alcune regioni come il Lazio. E crescono in maniera esponenziale gli straordinari, con picchi di 16 ore consecutive di lavoro in alcuni istituti. Il rapporto mette in luce anche un crollo degli investimenti in formazione, passati da 1.287.171 euro del 2010 a 391.120 euro del 2015; quanto alle risorse destinate alla manutenzione delle carceri, a fronte di un fabbisogno pari a 40 milioni di euro annui, sono precipitate a 4 milioni messi a bilancio lo scorso anno. E gli istituti penitenziari diventano inferni nei quali la riabilitazione diventa un sogno irraggiungibile.