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DOVE SI PRATICA LA PENA DI MORTE

“Occhio per occhio e dente per dente”, la legge di Hammurabi 4 mila anni dopo continua a essere applicata. Non c’è tecnologia, innovazione, scoperta scientifica, movimento sociale, o politico in grado di far evolvere l’uomo dai suoi istinti bestiali, il più infame dei quali è quello che pretende di ripagare il sangue col sangue. E così, ancora oggi, decine di Paesi, da est a ovest, continuano a mantenere in vigore e ad applicare la pena di morte nell’assurda convinzione di poter, così facendo, prevenire la commissione di reati gravi e socialmente dannosi. E invece, spesso, avviene esattamente l’opposto, basta guardare cosa succede negli Usa, dove essa non scoraggia il crimine che, incurante, continua a colpire. Il boia, allora, diventa strumento repressivo, inutile dimostrazione di forza di quelle istituzioni che, invece, dovrebbero creare opportunità e favorire la pace civile dando per prime l’esempio. Cosa che, puntualmente, non avviene. Lo dimostra il rapporto 2015 di “Nessuno tocchi Caino”, associazione abolizionista che appena un paio di giorni fa ha conferito un premio a Papa Francesco per il suo costante impegno contro la pena capitale.

L’unico dato positivo è quello che vede scendere a 37, rispetto ai 54 di 10 anni fa, le nazioni che ancora vi ricorrono. Per il resto c’è poco da sorridere: negli ultimi 24 mesi le esecuzioni documentate (attenzione a questa parola) sono state almeno 3.576, vale a dire 65 in più in confronto al 2013, quando erano state 3.511. E il trend del primo semestre del 2015 è a tinte fosche: sinora sono state giustiziate 2.229 persone in 17 Paesi e territori. Tanto che, dicono gli analisti della Ong, se questo andazzo dovesse proseguire si potrebbe toccare un nuovo, drammatico, record. Asia e Medio Oriente sono le zone più colpite dal fenomeno: con Iran e Cina in cima alla classifica. Si stima che Pechino abbia ordinato almeno 2.400 condanne (più o meno come nel 2013 e circa 600 in meno rispetto al 2012), mentre nel continente asiatico ne sono state certificate circa 3.471 esecuzioni (il 97% del totale), un po’ di più rispetto al 2013 quando erano state almeno 3.415. Teheran, da parte sua, è arrivata a 800, piazzandosi al secondo posto, seguita dal Pakistan che, dopo aver revocato la moratoria sulla pena di morte, nel 2015 ha fatto uccidere 174 persone. Nell’anno corrente il quadro non cambia: la Cina ha raggiunto già 1.200 esecuzioni, mentre l’Iran 657. Particolarmente efferato è il regime di Hassan Rouhani che, dal 2013 a oggi, ha giustiziato quasi 2 mila prigionieri.Cifre che gli attribuiscono un primato ben poco onorevole: quello di far morire il maggior numero di detenuti pro capite.

L’estremo supplizio, poi, non riguarda solo i maggiorenni: nel 2014 17 minori, tutti in Iran, sono finiti nelle mani del boia, mentre nei primi sei mesi del 2015 la stessa sorte è toccata 4 giovani, due in Iran e 2 in Pakistan, che al momento del reato non avevano ancora raggiunto la maggiore età. Preoccupa poi la recente escalation di pene capitali in Arabia Saudita (almeno 88 nel 2014 e almeno 102 nel 2015), Egitto, Giordania e Indonesia. Negli ultimi due anni, poi, non si sono registrate esecuzioni in 5 Paesi (Botswana, India, Kuwait, Nigeria e Sud Sudan). Viceversa 7 Paesi in cui non si erano registrate esecuzioni nel 2013 le hanno riprese nel 2014 (Bielorussia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Guinea Equatoriale, Pakistan e Singapore) e altri 2 Paesi che non avevano effettuato esecuzioni nel 2014 le hanno riprese nel 2015 (Bangladesh e Indonesia). Inoltre, è probabile che siano state giustiziate persone in Siria, Vietnam e Yemen. Nelle Americhe sono state registrate 33 esecuzioni lo scorso anno e 17 in quello corrente, tutte negli Stati Uniti.

Nell’ultimo anno e mezzo l’impiccagione, la fucilazione e la decapitazione sono stati i metodi con cui è stata praticata la pena di morte nei Paesi a maggioranza musulmana, mentre non risulta siano state eseguite condanne tramite lapidazione, a parte quelle estemporanee, fatte dalla folla inferocita, figlie comunque di una mentalità repressiva. La forca è il tipo si esecuzione più diffuso, preferita per gli uomini ma che non risparmia le donne. Nel 2015, al 30 giugno, almeno 858 altre impiccagioni sono state effettuate in 8 Paesi a maggioranza musulmana: Afghanistan (1), Bangladesh (2), Egitto (almeno 12), Giordania (2), Iran (almeno 657, tra cui 216 annunciate dal Governo); Iraq (almeno 6); Pakistan (almeno 174), Sudan (almeno 4). Nel 2014 sono state effettuate 933 impiccagioni in 9 Paesi a maggioranza musulmana: Afghanistan (6), Egitto (almeno 15), Giordania (11), Iran (almeno 800), Iraq (almeno 67), Malesia (almeno 3), Pakistan (7), Palestina (almeno 1) e Sudan (almeno 23). Sempre lo scorso anno, altre 5 impiccagioni sono state effettuate in 2 Paesi non musulmani: Giappone (3) e Singapore (2). Nel 2015, al 30 giugno, sono state compiute altre 2 impiccagioni, una in Giappone e l’altra a Singapore. Paesi che si abbassano allo stesso livello dei criminali puniti, sventolando la bandiera della vendetta di Stato.

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