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OMICIDIO DALLA CHIESA, A 33 ANNI DALLA TRAGEDIA ANCORA OMBRE SUL MOVENTE

Veniva assassinato il 3 settembre 1982 a Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, eroe di guerra, vice comandante generale dell’Arma dei Carabinieri e fondatore del Nucleo Speciale Antiterrorismo. Venne nominato prefetto di Palermo nel maggio del 1982 dal Consiglio dei Ministri nel tentativo di replicare contro Cosa Nostra gli ottimi risultati che il generale ottenne contro le Brigate Rosse.

Fu ucciso a Palermo in via Isidoro Carini mentre viaggiava a bordo dell’Autobianchi A112 guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro. La loro auto fu affiancata dai malviventi che aprirono il fuoco su di loro con un AK-47 – meglio conosciuto come Kalashnikov – uccidendoli entrambi. Quella sera morì con le stesse modalità anche l’agente di scorta Domenico Russo, che seguiva Dalla Chiesa in un’altra vettura.

Per gli omicidi furono condannati all’ergastolo, come esecutori materiali, Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo. Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci, che si trovavano alla guida durante l’attentato, hanno ricevuto una pena di 14 anni di carcere. Ergastolo anche per i mandanti dei tre omicidi che sono stati identificati come i boss Bernardo Provenzano, Michele Greco, Totò Riina, Pippo Calò, Nenè Geraci e Bernardo Brusca.

Restano poco chiari i motivi reali della tragedia, come si può leggere nella sentenza della magistratura: “Si può, senz’altro, convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”

L’omicidio del prefetto è stato più volte collegato al caso Moro. La sera stessa dell’attentato fu scassinata una cassaforte a casa di Dalla Chiesa dalla quale sparì, tra gli altri, anche un dossier sul rapimento di Aldo Moro. Secondo il pentito Tommaso Buscetta, il generale e Mino Pecorelli conoscevano dettagli sul sequestro che davano fastidio a Andreotti. Il boss mafioso Gaetano Badalamenti avrebbe detto a Buscetta: “Lo hanno mandato a Palermo per sbarazzarsi di lui. Non aveva fatto ancora niente in Sicilia che potesse giustificare questo grande odio contro di lui.”

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