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Il solito teatrino

C’era una volta, ma in realtà c’è ancora, il teatrino della politica. Dove comparse e protagonisti recitavano a memoria, seguendo un copione rodato, scritto da altri, ma sempre di gran moda. Il teatrino moderno, perché c’è ancora, manda in scena solo comparse che recitano a soggetto. Poche frasi adatte per il canovaccio di base, dove l’obiettivo è quello di mantenere il posto o far cadere il governo; a seconda dei casi. Ecco, la storia del Senato da riformare con una legge che nessuno riesce davvero ad amare, è un po’ questa.

C’è il segretario del Pd, Matteo Renzi, che vorrebbe che il partito fosse tutto al suo fianco, anche se ha la convinzione che una decina di dissidenti possa “sfilarsi”. Anche i malpancisti del Nuovo Centrodestra vorrebbero deviare dal percorso principale per una mera ragione di poltrone da conquistare, la solita storia, ma – sembra – alle fine dovrebbero “rientrare” alla base per evitare possibili crepe all’interno della maggioranza. Un copione già visto, dove gli alfaniani hanno brandito lo spettro della crisi per alzare la posta in palio.

E così il premier potrebbe giocare la carta dei ricambi delle Presidenze di commissioni e posticipare a novembre il Ddl sulle unioni civili, in modo da placare il Nuovo Centrodestra; d’altronde Angelino Alfano avrebbe già praticamente chiuso l’accordo elettorale con Renzi in vista delle prossime elezioni amministrative. Il Pd, dal canto suo, ha aperto un dialogo, portato avanti anche dal presidente della Commissione Finocchiaro, con le forze dell’opposizione: sia con la Lega per quanto riguarda le funzioni del Senato, sia con altri partiti. Come per esempio i Conservatori e riformisti che hanno presentato una cinquantina di emendamenti e sono pronti a votare sì alla riforma qualora ci dovessero essere delle reali aperture da parte di Palazzo Chigi. Due i punti fondamentali: la perequazione nord-sud sulle infrastrutture e la necessità di mettere un tetto fiscale in Costituzione.

Raffaele Fitto, dal canto suo, frena i propri parlamentati ai quali ha ricordato che per ora il gruppo fuoriuscito da FI ha sempre votato contro. Per quanto riguarda gli azzurri, Paolo Romani ha serrato i ranghi, ma sulla carta una decina di senatori potrebbe non presentarsi in Aula e abbassare così il quorum. “La verità – sottolineano fonti parlamentari di Forza Italia – è che Renzi sta cercando i voti del centrodestra per poi piegare la minoranza del Pd”. Le vecchie pratiche della politica non sembrano dunque voler morire. Nemmeno ai tempi della presunta rottamazione. Altri sì dovrebbero arrivare dalle file di Gal e dagli ex M5s. Sicuri i dieci voti dei verdiniani. D’Anna, invece, è contrario al pacchetto ma se il suo voto dovesse essere decisivo si esprimerà a favore.

E’ tutto un sistema di pesi e contrappesi, più che di convinzioni. Dove sta la politica vera in tutto questo? Esiste solo un copione solido e ben rodato, al punto da rendere la riforma del Senato una “non riforma” ma un motivo di scontro, una boa attorno al quale far girare a vuoto dissidenti e ribelli in cerca di autore.

 

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