Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da Papa Francesco durante la messa con i religiosi del Messico nello stadioĀ āVenustiano Carranzaā di Morelia.
CāĆØ un detto che dice cosƬ: āDimmi come preghi e ti dirĆ² come vivi, dimmi come vivi e ti dirĆ² come preghiā; perchĆ©, mostrandomi come preghi, imparerĆ² a scoprire il Dio vivente, e mostrandomi come vivi, imparerĆ² a credere nel Dio che preghi, perchĆ© la nostra vita parla della preghiera e la preghiera parla della nostra vita; perchĆ© la nostra vita parla nella preghiera e la preghiera parla nella nostra vita. A pregare si impara, come impariamo a camminare, a parlare, ad ascoltare. La scuola della preghiera ĆØ la scuola della vita e la scuola della vita ĆØ il luogo in cui facciamo scuola di preghiera.
GesĆ¹ ha voluto introdurre i suoi nel mistero della Vita, nel mistero della Sua vita. MostrĆ² loro mangiando, dormendo, sanando, predicando, pregando che cosa significa essere Figlio di Dio. Li invitĆ² a condividere la sua vita, la sua intimitĆ e, mentre stavano con Lui, fece loro toccare nella sua carne la vita del Padre. Fa loro sperimentare nel suo sguardo, nel suo camminare, la forza, la novitĆ di dire: āPadre nostroā. In GesĆ¹ questa espressione non ha il āretrogustoā della routine o della ripetizione. Al contrario ha il sapore della vita, dellāesperienza dellāautenticitĆ . Egli ha saputo vivere pregando e pregare vivendo, dicendo: Padre nostro.
E ci ha invitato a fare lo stesso. La nostra prima chiamata ĆØ quella a fare esperienza di questo amore misericordioso del Padre nella nostra vita, nella nostra storia. La sua prima chiamata ĆØ a introdurci in questa nuova dinamica dellāamore, della filiazione. La nostra prima chiamata ĆØ quella ad imparare a dire āPadre nostroā, a dire āAbbĆ ā.
āGuai a me se non evangelizzassi!ā, dice Paolo, guai a me! PerchĆ© evangelizzare ā prosegue ā non ĆØ una gloria ma una necessitĆ (1 Cor 9,16).
Ci ha invitato a partecipare alla Sua vita, alla vita divina: guai a noi se non la condividiamo, guai a noi se non siamo testimoni di quello che abbiamo visto e udito, guai a noi. Non siamo nĆ© vogliamo essere dei funzionari del divino, non siamo nĆ© desideriamo mai essere impiegati di Dio, perchĆ© siamo invitati a partecipare alla sua vita, siamo invitati a introdurci nel suo cuore, un cuore che prega e vive dicendo: Padre nostro. CosāĆØ la missione se non dire con la nostra vita: Padre nostro?
A questo Padre nostro noi ci rivolgiamo tutti i giorni pregando: non lasciarci cadere in tentazione. GesĆ¹ stesso lo fece. Egli pregĆ² perchĆ© noi suoi discepoli ā di ieri e di oggi ā non cadessimo in tentazione. Quale puĆ² essere una delle tentazioni che ci potrebbe assalire? Quale puĆ² essere una delle tentazioni che sorge non solo dal contemplare la realtĆ ma nel viverla? Che tentazione ci puĆ² venire da ambienti dominati molte volte dalla violenza, dalla corruzione, dal traffico di droghe, dal disprezzo per la dignitĆ della persona, dallāindifferenza davanti alla sofferenza e alla precarietĆ ? Che tentazione potremmo avere sempre nuovamente di fronte a questa realtĆ che sembra essere diventato un sistema inamovibile?
Credo che potremmo riassumerla con la parola rassegnazione. Di fronte a questa realtĆ ci puĆ² vincere una delle armi preferite del demonio: la rassegnazione. Una rassegnazione che ci paralizza e ci impedisce non solo di camminare, ma anche di fare la strada; una rassegnazione che non soltanto ci spaventa, ma che ci trincera nelle nostre āsacrestieā e apparenti sicurezze; una rassegnazione che non soltanto ci impedisce di annunciare, ma che ci impedisce di lodare. Una rassegnazione che non solo ci impedisce di progettare, ma che ci impedisce di rischiare e di trasformare le cose.
Per questo, Padre Nostro, non lasciarci cadere nella tentazione.
Che bene ci fa fare appello alla nostra memoria nei momenti della tentazione! Quanto ci aiuta osservare il ālegnoā con cui siamo stati fatti. Non tutto ha avuto inizio con noi, non tutto terminerĆ con noi; per questo, quanto bene ci fa recuperare la storia che ci ha portato fin qui.
E in questo fare memoria non possiamo tralasciare qualcuno che amĆ² tanto questo luogo da farsi figlio di questa terra. Qualcuno che seppe dire di sĆ© stesso: āMi strapparono dalla magistratura e mi posero alla pienezza del sacerdozio per merito dei miei peccati. Me, inutile e interamente inabile per lāesecuzione di una tanto grande impresa; me, che non sapevo remare, elessero primo Vescovo di MichoacĆ”n” (Vasco VĆ”squez de Quiroga, Carta pastoral, 1554).
Con voi desidero fare memoria di questo evangelizzatore, conosciuto anche come āTata Vascoā, come ālo spagnolo che si fece indioā.
La realtĆ vissuta dagli indios PurhĆ©pechas descritta da lui come āvenduti, vessati e vagabondi per i mercati a raccogliere i rifiuti gettati a terraā, lungi dal condurlo alla tentazione dellāaccidia e della rassegnazione, mosse la sua fede, mosse la sua vita, mosse la sua compassione e lo stimolĆ² a realizzare diverse iniziative che fossero di ārespiroā di fronte a tale realtĆ tanto paralizzante e ingiusta. Il dolore della sofferenza dei suoi fratelli divenne preghiera e la preghiera si fece risposta concreta. Questo gli guadagnĆ² tra gli indios il nome di āTata Vascoā, che in lingua purĆ©pechas significa: papĆ .
Padre, papĆ , abbĆ ā¦
Questa ĆØ la preghiera, questa lāespressione alla quale GesĆ¹ ci ha invitati. Padre, papĆ , abbĆ , non lasciarci cadere nella tentazione della rassegnazione, non lasciarci cadere nella tentazione della perdita della memoria, non lasciarci cadere nella tentazione di dimenticarci dei nostri predecessori che ci hanno insegnato con la loro vita a dire: Padre Nostro.