Si è concluso in un nulla di fatto il summit a Doha, capitale del Qatar, tra i paesi Opec e non Opec maggiori produttori di petrolio al mondo. L’obiettivo era quello di trovare una intesa tra le 16 nazioni produttrici per un congelamento coordinato dell’offerta e stabilizzare così il mercato globale del petrolio. Al flop hanno contribuito i veti incrociati di Arabia Saudita e Iran. I primi hanno detto chiaramente che non parteciperanno ad alcun accordo, a meno che tutti gli altri membri dell’Opec non faranno lo stesso.
L’Iran, dal canto suo, aveva cercato di ottenere una deroga al congelamento dei prezzi invocando il fatto che, dopo la fine dell’embargo, avrebbe bisogno di riportare la produzione di petrolio al periodo precedente le sanzioni per rilanciare la sua economia. Il ministro del Petrolio iraniano, Bijan Zaganeh, che non ha partecipato al vertice inviando solo un suo rappresentante, ha ribadito che Teheran non congelerà la produzione finché la repubblica islamica non sarà tornato ai livelli produttivi precedenti alle sanzioni internazionali del 2011.
L’accordo mancato di Doha non permetterà di sostenere il rialzo delle quotazioni (scese di oltre il 50% negli ultimi mesi) e di interrompere la spirale ribassista che sta mettendo in crisi le economie di tutti quei Paesi che negli ultimi decenni sono cresciuti soprattutto grazie alle esportazioni. Ora se ne riparlerà a giugno e in questi due mesi ogni Paese potrà regolarsi come ritiene. Probabile quindi che permanga l’eccesso di offerta stimata in 1-2 milioni di barili al giorno a livello globale, con la Russia e l’Arabia Saudita che stanno producendo a livelli da record con l’intento di mettere in difficoltà gli operatori americani di shale oil.
Il ministro russo dell’Energia, Alexander Novak, stando a quanto riportato da Bloomberg, ha ammesso di essere sorpreso per l’assenza di un accordo. In una conferenza stampa successiva alle trattative, Novak ha affermato che “la porta non è chiusa” verso la possibilità di siglare un accordo in futuro, sebbene “la Russia non sarà ottimista come prima”. Jason Bordoff, direttore del Center on Global Energy Policy presso la Columbia University ed ex funzionario della Casa Bianca, ha commentato il flop di Doha a Bloomberg: “Il fatto che sembra che l’Arabia Saudita abbia bloccato l’accordo indica quanto la sua politica sul petrolio sia condizionata dal continuo conflitto geopolitico con l’Iran”.