La Camera ha approvato la messa in stato di accusa della presidente brasiliana Dilma Rousseff con una larga maggioranza. Servivano i due terzi, 342 voti, e il fronte d’opposizione ne ha messi insieme ben 367, oltre le aspettative. In pratica tutti i partiti della maggioranza hanno abbandonato Dilma tranne il suo, il Partito dei lavoratori (Pt) e alcuni alleati tradizionali. Dei 25 partiti rappresentati in Congresso, la maggioranza si è schierata con il successore, Michel Temer, il vicepresidente già eletto con Dilma, attualmente dei registi della sua cacciata.
Ora il processo deve essere ratificato dal Senato, ma si tratta di una formalità, perché la maggioranza semplice lì richiesta è praticamente certa. Poi la Rousseff dovrà lasciare il palazzo del Planalto, la sede della presidenza della Repubblica, e al suo posto arriverà ad interim il suo vice che formerà un nuovo governo. La legge prevede che l’allontanamento sia temporaneo, per un massimo di sei mesi, mentre in Senato verrà instaurato il processo vero e proprio.
Già forti le pressioni affinché la Rousseff presenti le dimissioni definitive, così che la partita si chiuda rapidamente invece di trascinarsi per mesi. La presidente parlerà oggi ai cittadini, ma non sembra intenzionata a dimettersi. La reazione del governo è giunta nella notte per bocca dell’Avvocato generale José Eduardo Cardozo, che ha detto: “Tristezza e indignazione. E’ stata una decisione di natura politica, il che non è previsto dalla nostra Costituzione nei processi di impeachment. Per noi resta un golpe, che resterà nella storia del Brasile come una pagina vergognosa”. Cardozo ha anticipato che la presidente non si dimetterà mai prima del tempo e che “la sua lotta continuerà”.