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Gli errori della Buona Scuola

Mentre l’intero Paese è occupato a esaminare il debito pubblico, i rapporti con l’Europa e con il mondo intero, e i nostri politici si cimentano negli impegni elettorali, amministrativi e referendari, nel sottobosco degli altri ambiti di vita e di gestione dello Stato si va “avanti tutta” verso le novità introdotte dal governo Renzi, che modificano profondamente il tessuto valoriale, culturale ed etico del popolo italiano. A quali novità, in particolare, mi riferisco? Alla scuola, innanzitutto, luogo di formazione e specchio del Paese, che esprime e narra ciò che l’Italia nel futuro vorrà essere.

La riforma della scuola è stato uno degli argomenti presi più a cuore dall’attuale Presidente del Consiglio, probabilmente perché vive sulla “propria pelle”, in famiglia, il problema della precarietà. Così, ha voluto cimentarsi in una riforma che, già nel nome, “La buona scuola”, doveva suscitare consenso e felicità da parte degli appartenenti all’intero mondo dell’istituzione scolastica. Siamo nel mese di giugno e l’anno scolastico è giunto quasi al termine, in un anno tra i più complessi e difficili, per i protagonisti della “buona scuola”: docenti, alunni, genitori, personale Ata e dirigenti scolastici. Dal 13 luglio 2015, infatti, la vita scolastica italiana è cambiata. E, vi assicuro, sono aumentate le preoccupazioni in ogni operatore della scuola, è aumentata l’ansia e il conflitto nelle relazioni tra docenti e con i genitori.

La vera protagonista della legge 107/2015 è la diffidenza e la sfiducia tra tutti coloro che lavorano nella scuola, prendendo il posto dei valori di collegialità che, nonostante tutto, sono stati sempre presenti, benché vissuti da ciascuno con tono e stile differente. Pensiamo allo spirito di condivisione, alla dedizione di tanti insegnanti che, con vera abnegazione, riescono a dare prova di eccellenza, pur lavorando spesso in carenza di mezzi e tecnologie promesse e mai ottenute. Gli insegnanti si trovano a superare le numerose difficoltà quotidiane, aggravate da alcune innovazioni introdotte, come la mobilità, i tagli alle supplenze, la fine delle co-docenze in classe, che permettevano le attività extracurriculari di sostegno anche per gli alunni con difficoltà.

Con la riforma, si pensa ancora una volta a fare “bella figura” con l’Europa, a spese della qualità dell’istruzione scolastica e soprattutto dei tanti docenti che vivono la professione come vocazione. Gli insegnanti della scuola italiana, rispetto a quelli europei, sono sottopagati e questo la dice lunga sull’effettivo valore che la politica italiana attribuisce alla cultura e all’educazione. Al di là delle parole, non c’è affatto la convinzione che i giovani siano il futuro dell’Italia e che l’istruzione dovrebbe essere una priorità, al pari e più, dell’economia. La nuova normativa è riuscita a creare, in un sol colpo, sconcerto e scontento, con la riorganizzazione di un sistema che di fatto si radicava sui valori dell’autonomia introdotti dal DPR 275/1999, rimodulati ogni volta con l’avvento di altri capi di governo, negli ultimi vent’anni.

Diversi ministri hanno concorso in qualche misura alla disfatta della scuola, con contributi più o meno gravi. Ma, con la legge 107, cosiddetta de “La Buona scuola”, si sta toccando il primato della negatività. In particolare, con l’introduzione del Comitato di Valutazione, che si occuperà, tra le diverse mansioni, anche di quella di assegnare un “bonus del merito” ai docenti, ai quali, dopo avere fatto domanda dichiarando il proprio livello di formazione e competenza, e dopo attenta valutazione del Comitato in base a criteri votati in Collegio Docenti, verranno elargiti soldi, se giudicati tra i più meritevoli. I criteri – lo ripeto – sono stabiliti dal Comitato stesso e il salario accessorio è regolato da fonti contrattuali (v. D.Lgs. 165/2001) presenti nella stessa 107.

Questa legge è riuscita a mettere tutti contro, non solo tra categorie e profili, ma anche tra colleghi dello stesso ruolo o materia. E ciò sfocerà nel solito conflitto tra la scuola e i genitori, i quali vorranno un docente al posto di un altro, per esempio, e quindi nello stesso territorio potrebbero verificarsi antipatiche distinzioni qualitative tra istituti al posto di sane competizioni dettate dagli alti profili educativi e culturali che tutte le scuole dovrebbero offrire. Potrebbero emergere incresciose situazioni tra plessi diversi dello stesso Istituto, quindi con lo stesso dirigente che deciderà lui alla fine della fiera, in qualità di sceriffo, secondo il suo buon senso.

Da notare che in questo i costruttori della Buona Scuola non hanno guardato ai parametri europei, perché è tutto nostrano, un Comitato di valutazione con simili competenze di gestione e di analisi, che prevede al suo interno un membro esterno, la rappresentanza di due genitori nel primo ciclo e, nelle scuole superiori, la presenza di un genitore e di uno studente. La sua istituzione vuole forse suscitare una maggiore consapevolezza nei docenti che la scuola deve cambiare e ha urgente bisogno di nuove competenze e nuovi apprendimenti.

Comprendiamo che, mai come oggi, l’avvento delle nuove tecnologie stia creando un gap tra i metodi e risultati nell’apprendimento, dove su alcune tematiche gli studenti superano i propri insegnanti. Comprendiamo che, in questa circolarità della conoscenza, abbia perso di valore l’autorevole relazione tra docente e discente e deve essere di nuovo custodito l’aspetto pedagogico dell’adulto che educa e che trasmette il senso della vita. Ma il dato che emerge con più evidenza è che tutto sembra avere solo un peso e un valore economico, la “bontà” della scuola va giudicata in termini di efficienza ed efficacia degli insegnanti che devono “produrre” risultati considerati positivi, che nulla hanno a che fare con la “bella Scuola” di una volta.

I risultati nei test Invalsi, che sono prove oggettive standardizzate che hanno lo scopo di misurare i livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti italiani, presentano ancora gravi criticità negli esiti educativi di alcune scuole. Purtroppo, la marginalizzazione che il Mezzogiorno ha subìto per anni nella politica del nostro Paese ha presentato i suoi frutti anche in tema di valutazione scolastica. Sono le regioni del Nord-Ovest a strappare, tra le aree geografiche, i migliori risultati. Il più basso risultato conseguito dal Sud è in Campania, il cui punteggio è al di sotto di circa una decina di punti in confronto a quello delle altre regioni della stessa area.

Anche nell’istituzione scolastica, nonostante le eccellenze presenti nel nostro Paese, che esaltano la professionalità “made in Italy”, questo è un tempo di smarrimento, che ricalca il vissuto di una società in cui la politica, come scienza e azione per il bene comune, è totalmente assente. La campanella, a breve, suonerà per l’ultima volta, quest’anno, prima dell’estate. Tornerà a suonare, come il cuore degli insegnanti della scuola ancora pulserà, il prossimo anno, quando i ragazzi ricominceranno a chiedere, anche con lo sguardo di fiducia e intenso di voglia di riscatto, il diritto a costruire un futuro che avrà i colori che in classe, insieme, si saprà dipingere.

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