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LA CONTROMOSSA: SCOZIA PRONTA A FERMARE LA BREXIT

L’europeista Scozia cerca tutti i modi possibili per fermare la Brexit. E a guidare una determinata e lucida opposizione al risultato del referendum è la ‘first minister’ Nicola Sturgeon, secondo cui il Parlamento di Edimburgo potrebbe opporre un veto all’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Le sue parole arrivano mentre nuovi sondaggi rivelano come la maggioranza degli scozzesi sia favorevole all’indipendenza dal Regno Unito, mentre a Londra i due maggiori partiti nazionali, conservatori e laburisti, sono nel pieno di un terremoto politico che potrebbe portare nel giro di qualche mese alle elezioni anticipate. E’ da nord che parte il tentativo di opporsi ad un processo di uscita dall’Unione rispetto al quale però tutti – dal premier Cameron che non attiverà la richiesta formale al prossimo vertice europeo fino ai sostenitori della campagna Leave – cercano di temporeggiare trovandosi di fronte a mille incognite. Sturgeon ha invece ben chiaro quale sia il suo mandato: “Difendere gli interessi della Scozia”. Lo ha ribadito in diverse interviste sui media del Regno, per sostenere poi che Holyrood, sede dell’assemblea legislativa di Edimburgo, ha “il diritto di esprimere il suo consenso” o meno alla Brexit, che lei sostiene possa essere vincolante. Secondo infatti gli accordi sulla ‘devolution’, i deputati scozzesi devono dire la loro su quei provvedimenti presi da Londra che hanno conseguenze dirette sulla Scozia.

E la Brexit, che a nord del confine inglese è stata respinta dal 62% degli elettori, è uno di questi casi. Ma fra “consenso” e “veto” c’è molta differenza, spiegano alcuni esperti sentiti dalla Bbc, e la possibilità di bloccare la Brexit appare piuttosto impraticabile. Come afferma fra l’altro il ministro per la Scozia David Mundell, che si è espresso “a titolo personale” sulla questione dell’unità nazionale, tornata ad essere di scottante attualità dopo il ‘no’ a Bruxelles. Fra gli scozzesi infatti è cresciuta la voglia di indipendenza: secondo alcuni sondaggi la maggioranza, con punte del 59%, la invoca proprio per uscire dal Regno Unito e restare in Europa.

Le ultime rilevazioni ribaltano così il risultato del referendum sull’indipendenza della Scozia vinto nel 2014 dagli unionisti: allora i ‘sì’ alla secessione erano il 45%, i ‘no’ il 55%. Ma l’opposizione al risultato del voto sulla Brexit sta crescendo anche nel resto del Paese. Ha superato quota tre milioni di firme la petizione per chiedere un nuovo referendum, sebbene siano emersi casi di falsificazione come denuncia il sito del Daily Telegraph. Sono in particolare i londinesi pro Ue che si sono impegnati a fondo in una campagna online soprattutto usando il passaparola sui social media.

Se un ritorno alle urne per un referendum bis appare del tutto remoto, non lo è affatto la possibilità di elezioni politiche anticipate entro la fine dell’anno. Sì perché conservatori e laburisti sono nel pieno di tumultuose riorganizzazioni interne. I primi cercano il successore di Cameron e per i secondi è iniziato un regolamento di conti che potrebbe concludersi con le dimissioni del leader Jeremy Corbyn, già chieste da dieci maggiorenti del partito che hanno lasciato uno dopo l’altro il governo ombra, a partire dal titolare degli Esteri Hilary Benn, ‘silurato’ nel corso della notte.

Dopo questo ‘tsunami’ della classe dirigente sarà fondamentale che le nuove o riconfermate guide dei due partiti cerchino il consenso dell’elettorato andando alle urne per offrire quella stabilità di cui tanto il Paese ha bisogno e per indicare la rotta attraverso i marosi della Brexit.

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