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L’ORRORE E LA SPERANZA

A faccia in giù, appena lambito dall’acqua, le braccia abbandonate, immobile nella morte. Aylan, Il piccolo profugo siriano annegato nel settembre 2015 davanti alla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia, aveva ancora la maglietta rossa e i pantaloncini scuri, le scarpe allacciate. E la foto di quel corpicino composto, delicato, ha fatto il giro del web, è stata rilanciata all’infinito su Twitter, simbolo della tragedia dei migranti. Sull’onda emotiva la Germania aprì le porte ai profughi, “scegliendo” i siriani. Ma poi tutto è tornato come prima. I governi hanno continuato a sganciare bombe, gli aerei a fare i loro raid. Nel mirino anche scuole, ospedali, case.

Aylan è un lontano ricordo. Morto e sepolto, con il suo corpo e la sua storia. Oggi la coscienza globale si risveglia per un’altra immagine simbolo, quella del piccolo Omran, 5 anni, seduto da solo su un’ambulanza, coperto di polvere nera e sangue. Non piange, per un po’ non si muove, e gli occhi non hanno espressione. Nel video, dopo un po’ prova con la manina a pulirsi il volto; quasi a voler vedere il futuro.

La clip del bambino appena estratto dalle macerie di una casa bombardata ad Aleppo e diventata subito virale; è l’immagine di un popolo che sembra destinato a subire passivamente l’immane violenza di una guerra senza fine. Omran, fanno sapere gli attivisti dell’Aleppo Media Center, è stato curato per una ferita alla testa e già dimesso. Ma altri cinque bambini sono morti insieme a tre adulti nel raid che ha colpito il quartiere di Qaterji, nella parte della città controllata dagli insorti e preso di mira dai governativi.

È forse anche il potere sconvolgente di queste immagini che qualche ora dopo ha indotto l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, ad alzare la voce chiedendo nuovamente una tregua di almeno 48 ore che permetta ai convogli umanitari di raggiungere i civili in tutto il Paese. Una richiesta che la Russia, alleata di Damasco, ha detto di essere pronta ad accogliere, a partire dalla settimana prossima.

Quarantotto ore. Come se i destini di un popolo potessero definirsi nel lasso di tempo utile a ricaricare le bombe sugli aerei e fare rifornimento per il prossimo blitz.

La galleria degli orrori di questo conflitto si arricchisce con altre testimonianze raccolte in un rapporto diffuso da Amnesty International sulle carceri governative, dove oltre 17.000 detenuti sarebbero morti a partire dall’inizio delle proteste del 2011 poi sfociate nella guerra civile. Amnesty cita 65 sopravvissuti che parlano di torture quali scariche elettriche, violenze sessuali, asportazione delle unghie, bruciature con sigarette o acqua bollente. Qualcuno afferma di essere stato lasciato per giorni in una cella con un compagno morto. Ma per ora, ha affermato De Mistura, la priorità assoluta è quella di fare cessare i combattimenti.

E per richiamare l’attenzione internazionale sulla tragedia che travolge i civili l’inviato dell’Onu è arrivato oggi a sospendere, per rinviarla alla settimana prossima, una riunione della Task Force umanitaria per la Siria. Continuare a discutere nella situazione attuale, ha affermato in un tono insolitamente irritato De Mistura, “non ha senso”.
“Giorno dopo giorno – ha aggiunto – quello che sentiamo e vediamo in Siria sono combattimenti, offensive, controffensive, razzi, barili bomba, mortai, cannoni, napalm, cloro, cecchini, bombardamenti e attacchi suicidi. E non un singolo convoglio ha raggiunto questo mese nessuna delle aree sotto assedio”. L’unica eccezione, il lancio di aiuti per la popolazione di Deyr az Zor, nell’est del Paese, in mano ai governativi e assediata dall’Isis.

La Russia ha risposto di essere pronta a raccogliere l’appello per un cessate il fuoco, a cui si sono uniti Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera della Ue, e il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni. Ma il portavoce del ministero della Difesa, Igor Konashenkov, ha sottolineato che i convogli umanitari dovranno raggiungere attraverso due direttrici sia le aree assediate in mano agli insorti sia quelle controllate dai lealisti.

È triste dirlo, ma è così: non c’è alcuna determinazione nel far cessare i combattimenti, non c’è voglia di fermare le bombe. Non è accaduto con Aylan, sarà difficile che avvenga con Omran. Ha scritto Dacia Maraini sul Corriere della Sera, parlando proprio di Omran: “Un bambino partorito dalle macerie che, nonostante l’odio, l’indifferenza, l’irresponsabilità, l’ossessione omicida, esibisce il suo piccolo corpo martoriato ma intero, per ricordarci che la vita è più importante della morte è che solo dalla vita nasce altra vita e altra speranza”. Nel buio di una guerra globale, la parola chiave resta questa: speranza. Anche se si fa fatica a pronunciarla.

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