Quella foto, del corpicino del piccolo Aylan al-Kurdi – Alan, come il padre ha chiesto di chiamarlo dopo la morte –, a pancia in giù e il volto in direzione dello sguardo che soltanto con dolore poteva posarsi su di lui, accarezzato dalle onde che avevano portato via la sua vita insieme a quella del fratellino e della mamma, in fuga dalla Siria in guerra, ha sconvolto il mondo, facendo il giro del web.
Il padre aveva raccontato di avere lottato in mare per cercare di salvare i due bambini e la moglie, alternandosi verso l’uno o verso l’altro, inutilmente. “Quando l’imbarcazione si è rovesciata, ho preso mia moglie e i miei bambini tra le braccia ma mi sono accorto che erano morti”. Aveva pagato più di 4mila euro per il viaggio verso la speranza, un viaggio obbligato, aveva detto, che è diventato un viaggio verso l’Aldilà per il suo bambino, oltre i confini del dolore, della fame, della paura, della guerra, ma anche oltre le frontiere della vita.
Soltanto 5 chilometri separavano Bodrum dall’isola greca di Kos, dove era diretto quel gommone, troppo fragile per sopportare il peso di quasi un centinaio di persone, di fratelli in umanità sofferenti. Sono stati interminabili.
È trascorso un anno. Nilufer Demir, la giornalista dell’agenzia di stampa turca Dogan che scattò quella foto che commosse milioni di persone, l’aveva inviata ad istituzioni governative e organizzazioni non governative. “Spero fermi il dramma”, aveva detto. Ma la tragedia non è stata fermata. Altre mani, migliaia ogni giorno, prendono in braccio corpi senza vita di varia età, sesso e dimensioni, nello stesso tentativo di salvezza attraverso il Mar Mediterraneo dalla tragedia umanitaria in Siria, sempre più tragica. Le vittime sono ormai milioni, e in maggioranza bambini.
“L’unica cosa che potevo fare era far sentire il suo urlo al mondo”, aveva detto la fotoreporter. Quell’urlo, però, resta soffocato in quell’immagine del piccolo addormentato nel sonno della morte, sulla riva del mare dove ancora, accanto ai felici bagnanti, si posano dolorosamente. Cambiano i nomi degli innocenti morti, non le immagini, non la terribile realtà.