Si aggrava la crisi politica in Burundi, una situazione che è precipitata drasticamente dopo che nel 2015 il presidente Pierre Nkurunziza ha annunciato la sua decisione di ripresentarsi alle elezioni per un terzo mandato, violando di fatto la Costituzione gli accordi di pace di Arusha, che prevedono solo due mandati presidenziali. In seguito alle dichiarazioni di Nkurunziza il Paese si è ribellato e le violenze e la repressione nei confronti dei dissidenti si sono ulteriormente inasprite. Proprio a causa di questa forte instabilità politica, inoltre, più di 300 cittadini burundesi si sono rifugiati nei Paesi vicini.
Dal 26 aprile 2015 alla fine di agosto 2016, in Burundi, ci sono state 564 esecuzioni extragiudiziarie, ossia in netta contrapposizione con i diritti umani, nei confronti di cittadini innocenti. A rivelarlo è l’Onu, con un rapporto delle missione d’inchiesta dalle Nazioni Unite incaricata di verificare le violazioni dei diritti umani nel Paese africano.
“Gli esperti hanno costatato violazioni gravi dei diritti dell’uomo che sono state e sono tuttora commesse principalmente da parte di agenti dello Stato e da coloro che sono legati ad essi” si legge nel testo delle Nazioni Unite, con un chiaro riferimento alle milizie filo-governative. Il rapporto, inoltre, non esclude che le gravi violazioni dei diritti umani possano costituire crimini contro l’umanità, e chiede che siano avviate delle procedure giudiziarie internazionale per portare di fronte alla giustizia gli autori.
“Le violazioni gravi sono sistematiche, l’impunità è onnipresente e il pericolo del crimine di genocidio è alto” denuncia il rapporto, pervenuto all’agenzia di stampa Fides. Il governo di Bujumbura ha qualificato il rapporto dell’Onu come “distorto e politicamente orientato”.