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“Aldo Moro e l’Assemblea costituente” , Fioroni ricorda il grande Statista

Prima di svolgere il mio breve intervento, vorrei ringraziare la Presidente della Camera, Laura Boldrini, per aver realizzato questo evento e per aver accettato di introdurlo. Ritengo infatti che un incontro scientifico e una mostra dedicata a “Moro e la Costituente” rappresentino il miglior contributo che la Camera possa dare al programma delle celebrazioni per il centenario della nascita di Aldo Moro. La Commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro ha unanimemente caldeggiato la realizzazione di questo evento, nella convinzione che all’inchiesta parlamentare che cerca di fare luce su uno dei fatti più drammatici della storia contemporanea italiana debba affiancarsi una valorizzazione del contributo di Moro alla costruzione della democrazia nel nostro Paese. Trovo anche appropriato che la mostra e il convegno si svolgano presso la Biblioteca della Camera. Moro era infatti uno studioso ed è certo verosimile che abbia utilizzato le raccolte della biblioteca – che all’epoca si trovava a Montecitorio – tanto più che essa costituiva per molti deputati uno spazio di lavoro irrinunciabile. Riflettere sull’azione di Aldo Moro alla Costituente è importante per almeno due motivi.

In primo luogo l’esperienza alla Costituente è fondamentale per la biografia politica di Moro. E’ infatti alla Costituente che giungono a maturazione le riflessioni e l’elaborazione che Moro ha compiuto negli anni precedenti come studioso di diritto e come attivo esponente dei movimenti universitari cattolici. Grazie a questa maturazione Moro può sviluppare una sua visione di politica costituzionale, che ha il suo punto centrale nella volontà di orientare le energie del Paese alla realizzazione del progetto di Stato democratico e sociale delineato nella prima parte della Costituzione. Alla Costituente, Moro si rende inoltre conto che questo obiettivo non potrà essere raggiunto attraverso posizioni radicali o élitarie ma solo aggregando intorno ad esso le più ampie componenti sociali e politiche. Questa visione politica, partecipativa e di lungo periodo, è alla base della successiva azione di Moro, sia negli anni della transizione dal Centrismo al Centro-Sinistra sia nella drammatica crisi degli anni ’70, che Moro cercò di governare e indirizzare a un esito positivo, finendo per sacrificarvi la vita.

Il secondo motivo per cui è importante approfondire il ruolo di Moro alla Costituente sta nell’importanza del contributo che egli ha dato alla redazione del testo costituzionale. Analizzare gli interventi di Moro, prendendoli non come testi isolati ma nelle loro relazioni con la discussione che si svolse nella Commissione per la Costituzione e nell’Assemblea, consente di comprendere molto della gestazione della Costituzione. A parte alcuni interventi più tecnici o più legati al clima dell’epoca, gli interventi di Moro e dei più importanti tra i costituenti costituiscono tuttora un fondamentale contributo al dibattito politico contemporaneo, perché toccano le grandi questioni del rapporto tra Stato e persona, dei diritti e dell’uguaglianza sostanziale. Posti di fronte al grande problema della costruzione della democrazia in un Paese che cercava di aprirsi a una nuova stagione di diritti in un contesto internazionale conflittuale, i costituenti – e Moro più di altri – seppero individuare un orizzonte comune di riferimento, pur partendo da premesse ideologiche talora antitetiche. Un orizzonte comune che può essere sinteticamente individuato nella fondazione di una democrazia progressiva e partecipata, fondata sul pluralismo delle formazioni sociali, sul riconoscimento di una sfera garantita di diritti individuali e collettivi– anche attraverso cessioni di sovranità – e sull’affermazione dell’uguaglianza sostanziale. Si tratta, come si vede, di tematiche per nulla datate, che anzi dovrebbero costituire anche oggi i criteri direttivi di una politica non appiattita su una dimensione strettamente tecnica o contingente.

Moro fu un protagonista dell’incontro tra forze politiche che consentì l’approvazione della Costituzione, un tema sul quale occorre fare qualche precisazione. Spesso, infatti, si tende a rappresentare quello che anni dopo fu definito il “compromesso costituente” in una forma semplicistica, o per mitizzarlo o per denunciarlo come una forma di consociativismo. Nella realtà questo compromesso, di cui Moro fu protagonista, non fu un mero accordo politico ma il frutto di una comune consapevolezza dell’importanza del consenso come base della democrazia e della necessità di non prevedere un eccessivo vantaggio per i partiti che detenessero la maggioranza parlamentare e le posizioni istituzionali di vertice. Da questo punto di vista, è illuminante leggere gli interventi di Moro nei dibattiti che si svolsero all’interno della Commissione per la Costituzione e nelle sue Sottocommissioni. In essi si vede infatti come la redazione del progetto di Costituzione si realizzò attraverso un lavoro comune, che lasciava molto spazio a contributi di singoli, nell’ambito di una disciplina di partito che non schiacciava le individualità politiche.

I relatori potranno illustrare con competenza i diversi aspetti dell’azione di Moro alla Costituente. Io mi limiterò a sottolineare alcuni elementi che più di altri mi sembrano meritevoli di attenzione, anche sulla base della documentazione esposta nella mostra.
Talora, si tende a sottovalutare il contributo di Moro, rispetto a quello di altri costituenti che furono suoi interlocutori privilegiati: Dossetti, La Pira, Mortati, Basso, Togliatti. In realtà, alla Costituente Moro giocò un ruolo di primo piano, sia nella prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione sia, in Assemblea, come Vicecapogruppo della Democrazia cristiana. La sua posizione è originale e non riducibile, come talora si fa, ad un mero apporto al gruppo dossettiano. Rileggendo gli interventi di Moro si vede infatti chiaramente che c’è un orizzonte comune con quelli che furono definiti “i professorini”, ma c’è anche una grande autonomia di pensiero, che portò Moro a assumere, posizioni originali e non riducibili a logiche di scuola o di corrente.

Tra i vari filoni dell’azione di Moro direi che il più importante è quello relativo alla persona e allo Stato, due termini che per Moro sono strettamente legati. Dietro alla posizione di Moro c’è il cosiddetto Codice di Camaldoli, il documento sui Principi di un ordinamento sociale cristiano, elaborato al termine della settimana di studio dei laureati cattolici nel luglio 1943, al quale egli contribuì. C’è però anche la grande cultura giuridica di Moro, che lo porta a approfondire la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, e c’è anche la sua personale e cristiana sensibilità per i diritti dei deboli e degli svantaggiati.

Sulla base di questi motivi ispiratori Moro svolge un lavoro veramente significativo nella Commissione per la Costituzione, contribuendo non poco alla definizione degli articoli 1,2 e 3 della Costituzione. Al contrario di altri costituenti democristiani egli si dimostra aperto alla formula, proposta da Togliatti, della Repubblica italiana come «Repubblica di lavoratori», pur preferendole quella di Repubblica «fondata sul lavoro e sulla solidarietà sociale». Interviene inoltre con costanza sulla tematica dei diritti e del principio di uguaglianza che individua come chiave di volta del nuovo Stato democratico.

La sintesi più chiara della proposta di Moro è il suo discorso in Assemblea del 13 marzo 1947, quando egli interviene sugli ariticoli 1, 6 e 7 del Progetto di Costituzione (questi ultimi diventeranno gli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione). In questo discorso Moro esprime chiaramente la sua posizione sulla Costituzione e, in prospettiva, sul futuro del Paese. Moro inizia con una considerazione impegnativa, rievocando le discussioni con Togliatti in Commissione: «Preoccupati […] di realizzare attraverso la nuova Costituzione italiana uno strumento efficace di convivenza democratica, noi non abbiamo mai cercato e neppure adesso cerchiamo di dare alla Costituzione un carattere ideologico». Moro introduce però una fondamentale precisazione, sottolineando che la Costituzione non può essere neutrale, perché deve corrispondere a una visione condivisa. Per usare le sue parole: «Divisi — come siamo — da diverse intuizioni politiche, da diversi orientamenti ideologici, tuttavia noi siamo membri di una comunità, la comunità del nostro Stato e vi restiamo uniti sulla base di un’elementare, semplice idea dell’uomo, la quale ci accomuna e determina un rispetto reciproco degli uni verso gli altri».

Sulla base di questa premessa, Moro rivendica innanzi tutto l’essenziale carattere antifascista della Costituzione. Sottolinea poi che i tre articoli, presi insieme, definiscono il carattere del nuovo Stato italiano, che – cito – si fonda su «la democrazia, in senso politico, in senso sociale ed in senso che potremmo chiamare largamente umano». Moro insiste poi molto, in polemica con Calamandrei, con la centralità dei principi fondamentali. Questi non sono un semplici preambolo, ma vincolano il legislatore e assumono una funzione di garanzia. Su questo punto il discorso è chiarissimo e vale la pena di citare le parole di Moro: «Quando si parla di tante norme che andiamo discutendo e ci si scandalizza che siano norme costituzionali, bisognerebbe dire: ma in fondo questo non significa altro che sottrarle all’effimero giuoco di alcune semplici maggioranze parlamentari».

Questo importantissimo discorso, che andrebbe letto integralmente, costituisce uno dei riferimenti più chiari per chiunque anche oggi voglia cogliere il nucleo dei valori fondamentali del nostro patto costituzionale. A questa prospettiva Moro impronterà la sua azione successiva, contribuendo a indirizzare la nostra democrazia nella direzione dell’allargamento dei diritti.

Un secondo ambito dell’azione di Moro alla Costituente riguarda il tema dell’educazione e della scuola. Qui Moro non porta tanto la sua esperienza di professore universitario – anche perché di università alla Costituente si parlò poco – ma piuttosto le istanze pluralistiche del cattolicesimo democratico. Mentre le forze di sinistra insistono soprattutto sul valore della scuola di Stato nella formazione del cittadino, Moro insiste piuttosto sul riconoscimento dell’istruzione come diritto soggettivo e sulla valorizzazione delle iniziative educative e scolastiche della società civile. Nella sua prospettiva pluralista, decisiva è, nell’educazione, la funzione della famiglia e delle altre formazioni sociali. Si colloca in questo contesto anche la battaglia combattuta da Moro in favore della scuola non statale, che non è semplicemente una posizione confessionale, ma si colloca in un coerente approccio pluralistico.

Il tema del pluralismo è centrale anche in un terzo filone degli interventi di Moro, quelli dedicati alle formazioni sociali e al rapporto tra Stato e Chiesa. La valorizzazione del pluralismo era del resto un carattere distintivo di tutta la generazione di giovani politici cattolici che si affacciò alla vita pubblica negli anni della Costituente. Basterà qui ricordare gli interventi svolti a favore della definizione della famiglia come “società naturale”, definizione che Moro non intende – per usare le sue parole – in senso “zoologico o animalesco”, ma nel senso che la famiglia costituisce un ordinamento originario e razionale. La cultura del pluralismo cattolica e la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici consentono a Moro di porre in maniera duttile e moderna anche il tema del rapporto tra Stato e Chiesa. Muovendosi sulla scia delle posizioni di Dossetti, Moro afferma la necessità di regolare per via concordataria tale rapporto non perché lo Stato debba dare alla Chiesa una situazione di privilegio, ma sulla base del riconoscimento che la Chiesa è un «ordinamento giuridico originario». La regolazione bilaterale, dunque, ha la funzione non solo di tutelare la Chiesa da ingerenze dello Stato, ma anche di distinguere nettamente sfera civile e sfera religiosa.

Un ultimo filone dell’azione di Moro su cui vorrei richiamare l’attenzione riguarda l’organizzazione costituzionale e il ruolo dei partiti. Gli interventi su questi temi sono numerosi e dimostrano spesso una grande consapevolezza della necessità di creare un sistema costituzionale efficiente, come nel caso della proposta – poi approvata – di non prevedere lo scrutinio segreto come forma normale dell’approvazione delle proposte di legge. Mi limito però per ragioni di tempo a richiamare due tematiche, che evidenziano la grande attenzione con cui il gruppo democristiano e Moro guardavano al tema del ruolo della formazioni sociali nel nuovo Stato democratico. La prima è quella dell’organizzazione interna dei partiti con metodo democratico che Moro sostiene, sulla base del famoso emendamento Mortati. La seconda è quella della previsione di un Senato rappresentativo delle formazioni sociali, un classico tema del cattolicesimo politico italiano, sul quale la Democrazia cristiana è sconfitta nel settembre 1947, a seguito della reiezione dell’ordine del giorno Piccioni – Moro e della conseguente scelta in favore di un Senato debolmente differenziato rispetto alla Camera.

Il contributo di Moro alla Costituente è dunque estremamente ricco e variegato. Esso ha tuttavia un elemento unificante molto chiaro: l’uomo in quanto persona e la promozione della solidarietà sociale, che si traduce in un’attenzione per le masse e, in prospettiva, in un coerente riformismo. Quello a cui Moro pensa è uno “Stato di popolo” – espressione che egli usa nel corso delle discussioni – nel quale la persona e le formazioni sociali contribuiscono allo sviluppo dello Stato ma sono tutelate da qualunque tentazione giacobina o totalitaria. Centrale rimane l’idea di “dignità dell’individuo”, che è il perno della concezione personalista a cui Moro può essere ricondotto.

Al contrario di molti costituenti, Moro ritiene che la Costituzione debba stabilire condizioni per lo sviluppo dei diritti e la loro effettività, ma non debba avere la tentazione di cristallizzare le dinamiche della società dentro un progetto politico contingente. Le norme costituzionali non sono per Moro contingenti o congiunturali, ma rappresentano, come spiegò nel discorso del 13 marzo 1947, l’espressione di una visione comune dell’uomo.
La posizione di Moro ha dispiegato le sue potenzialità nel corso degli anni e dovrebbe essere anche oggi un punto di riferimento essenziale per il dibattito politico e culturale. Le incomprensioni di cui Moro fu oggetto e la sua tragica morte non possono cancellare la sua grande eredità, come ha ricordato recentemente il Presidente Mattarella. Realizzare un rapporto virtuoso tra democrazia e libertà attraverso il pluralismo, l’attenzione alle formazioni sociali, un rapporto dinamico tra la politica e i mondi vitali della società rappresenta tuttora un obiettivo da perseguire, in particolare per le forze che, in varia maniera, si richiamano all’eredità del popolarismo cristiano.

Alla Costituente Moro aveva già ben chiara la direzione verso cui muoversi. E aveva anche ben chiaro che la scrittura della Costituzione doveva avvenire sulla base di una larga condivisione tra le forze politiche sia dei principi generali che delle grandi soluzioni istituzionali. Come disse nel più volte citato discorso del 13 marzo 1947: «se nell’atto di costruire una casa nella quale dobbiamo ritrovarci tutti ad abitare insieme, non troviamo un punto di contatto, un punto di confluenza, veramente la nostra opera può dirsi fallita». Anche questo è un messaggio di stringente attualità, nel momento in cui si sta realizzando, in maniera contrastata e non consensuale, una riforma della parte seconda della Costituzione. Al di là delle legittime opzioni delle singole forze politiche, occorre affrontare seriamente il tema del consenso attorno ai fondamenti del patto costituzionale, non per realizzare un compromesso di tipo consociativo o un mero negoziato politico, ma per realizzare un processo realmente costituente, come avvenne nel 1946-1947.

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