Il documento Iuvenescit ecclesia, datato 15 maggio 2016, festa di Pentecoste, e firmato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, è poco conosciuto ma di estrema importanza perché ribadisce la necessaria relazione tra gerarchia e carismi evidenziando che entrambi sono un dono. La Chiesa è viva perché lo spirito Santo che la guida continuamente la rinnova attraverso i suoi pastori e anche con le meraviglie e il testimonianze evangeliche che suscita nel popolo santo di Dio. La Chiesa cresce per attrazione, per trapianto vitale. Questo avviene “quando la novità a volte inattesa e dirompente dei movimenti e nuove comunità viene valorizzata ma anche quando questi si inseriscono con gioia nelle chiese locali e nelle parrocchie sempre rimanendo in comunione con i Pastori e attenti alle loro indicazioni»” (n. 2).
Queste nuove realtà, per la cui esistenza il cuore della Chiesa è colmo di gioia e gratitudine, sono chiamate a relazionarsi positivamente con tutti gli altri doni presenti nella vita ecclesiale. I carismi provengono dal Padre, da Cristo, dallo Spirito Santo, sono per l’utilità comune e si devono vivere nella carità mettendoli a servizio gli uni degli altri. “Per cui non esiste una contrapposizione tra una Chiesa istituzionale e una carismatica. Lo stesso Spirito è all’origine dei doni gerarchici (pastori) e carismatici (movimenti). Lo Spirito dona alla gerarchia la capacità di discernere i carismi autentici, di accoglierli con gioia e gratitudine, di promuoverli con generosità e di accompagnarli con vigilante paternità”.
Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno evidenziato che una contrapposizione tra gerarchia e carismi sarebbe sintomo di una erronea o insufficiente comprensione dell’azione dello Spirito Santo nella vita e missione della Chiesa, mentre c’è una coessenzialità di entrambi. Il documento elenca i criteri per il discernimento dei doni carismatici: primato della vocazione di ogni cristiano alla santità; impegno alla diffusione missionaria del Vangelo; confessione della fede cattolica; testimonianza di una comunione fattiva con tutta la Chiesa; riconoscimento e stima della reciproca complementarietà di altre componenti carismatiche nella Chiesa; accettazione dei momenti di prova nel discernimento dei carismi; presenza di frutti spirituali quali la carità, gioia, pace, e umanità; dimensione sociale dell’evangelizzazione.
I doni carismatici consentono di portare molto frutto nello svolgimento di quei compiti che scaturiscono dal Battesimo, dalla Cresima, dal Matrimonio e dall’Ordine. Occorre riconoscere la bontà dei diversi carismi che originano aggregazioni ecclesiali sotto la guida dei legittimi pastori (cfr n. 22) Questi doni permettono ai fedeli di vivere nell’esistenza quotidiana il sacerdozio comune del popolo di Dio. “Quindi si può dire che dal punto di vista della relazione tra doni gerarchici e carismatici è necessario il rispetto della peculiarità carismatica delle singole aggregazioni ecclesiali, evitando forzature che mortifichino la novità di cui l’esperienza specifica è portatrice ed anche il rispetto del regime ecclesiale fondamentale favorendo l’inserimento fattivo dei doni carismatici nella vita della Chiesa universale e particolare, evitando che la realtà carismatica si concepisca parallelamente alla vita ecclesiale” (n. 23).
Proprio Maria, madre della Chiesa, può insegnare a tutta la comunità ecclesiale quella capacità di accogliere e mettere a frutto le grazie singolari senza incrinature e nella limpida umiltà. Maria testimonia in pienezza l’obbediente e fedele accoglienza ai doni dello Spirito Santo. Ella si è lasciata condurre dallo Spirito Santo, attraverso un itinerario di fede, verso un destino di servizio e fecondità. Papa Francesco ha voluto donare alla Chiesa, approvando tale documento, una chiara indicazione a stimarsi a vicenda nel rispetto delle funzioni e dei ruoli propri ad ognuno, perché i frutti del Vangelo si possano propagare nel mondo intero a beneficio dei più poveri.
Tratto da “Sempre”