Stefano Parisi vuole andare avanti nel progetto di ricostruzione del centrodestra, nonostante le perplessità di Silvio Berlusconi sulla possibile esclusione di Matteo Salvini dalla nuova “casa dei moderati” paventata dall’ex ad di Fastweb. “Ci serve qualcosa di più di un talent scout” è stata la replica all’ex Cav. Anche perché “Forza Italia ha perso negli ultimi anni dieci milioni di voti” e se “Renzi va in crisi, cosa probabile dopo il referendum, l’alternativa è Grillo e questo mi preoccupa”. Parisi, quindi, punta a “un’alternativa liberale” e questo “va fatto con le persone”. Le coalizioni tra leader “hanno poco senso, vanno fatte fatte su una base programmatica seria e condivisa, altrimenti è meglio evitare di farle. L’effetto delle coalizioni a tavolino l’hanno pagato tutti”.
Poco prima su Rtl 102.5 Berlusconi aveva ribadito che il centrodestra non ha ancora “partorito” un suo erede. “Spero ci sia – è l’auspicio dell’ex premier – fino adesso questa scelta non mi si è presentata. Avevo puntato molto su qualcuno che poi addirittura è passato dall’altra parte… Altri personaggi hanno deluso”. Di leader veri nella politica, ammette, “ora ce ne è uno solo e si chiama Matteo Renzi. Fuori dalla politica forse ce ne è qualcuno, ma dalla politica è stato buttato fuori…”.
Berlusconi ha parlato anche di referendum, asserendo che il premier “mente: se vince il No non ci sarà nessun caos. Sono le stesse bugie che diceva Napolitano quando diceva all’estero che il mio governo non aveva i soldi per pagare gli stipendi”. Renzi, ha aggiunto, “usa l’arma della paura per raccogliere voti”.
Se vince il No, secondo Berlusconi, si potrà avere “un governo che faccia la legge elettorale e ci porti al voto. Oppure un esecutivo che faccia una riforma costituzionale con quelle cose che in questo non ci sono. Noi vogliamo che vinca il no per ridare voce agli italiani e arrivare a ridiscutere una riforma della Carta tutti assieme, per raggiungere un accordo più ampio possibile“. A chi gli chiede se fosse pentito della rottura con Renzi, l’ex premier risponde netto: “Purtroppo ci siamo chiamati fuori quando abbiamo capito che non era interessato a una vera riforma ma a regole cucite addosso a lui. A quel punto avevamo non solo il diritto, ma anche il dovere di opporci”.