“Tutto ciò che è reale è razionale”, scriveva Hegel. Se vivesse oggi lo direbbe ancora? Ne dubito. Guardiamoci intorno: di razionale in questo presente c’è rimasto poco o niente. Tra Brexit, elezioni americane (le più aspre di sempre), un’Europa incapace di gestire il fenomeno migrazioni e promuovere lo sviluppo umano, l’oscena bagarre sulla nostra riforma costituzionale (per non parlare di terrorismo islamico e della situazione in Ungheria, Turchia, Siria o Libia), è difficile immaginare un quadro più inquietante. E, più i toni salgono, più il livello scende.
Violenza – non solo verbale – e provocazione sono l’unico denominatore comune. Stiamo toccando gli abissi più profondi. Pensiamo solo alle parole che il Vertice istituzionale di una grande Regione ha rivolto alla Presidente della Commissione Antimafia. Inaccettabili. Ingiustificabili. Intollerabili. Un segno dei tempi? Sì, purtroppo. Ma che tempi sono quelli che mandano questi segni? Pessimi, purtroppo. Per tutti.
Altro che razionale: questa realtà è impazzita. E noi, invece di cercare di guarirla, ci lasciamo contagiare dalla sua pazzia. E così facendo la moltiplichiamo e la diffondiamo. Che fine ha fatto Socrate? Mi chiedo. Dove sono valori, saggezza, senso civico, lungimiranza, responsabilità, misericordia? Socrate è morto. Se non ci sbrighiamo a raccogliere la sua bandiera e a farla sventolare alta sull’orizzonte delle coscienze, andremo incontro all’apocalisse di un devastante “tutti-contro-tutti”. Ciò che, più di tutto, manca di Socrate è l’umiltà.
Quel “sapere di non sapere”, che obbliga a chiedersi chi siamo? Dove vogliamo andare? Come possiamo arrivarci? Ma, soprattutto, quell’umiltà che ci fa capire che o ci si salva insieme o si muore insieme. La nostra presunzione, invece, ci acceca. Le élite – classi dirigenti, burocrazie, intellettuali, opinionisti – non sanno niente, ma credono di sapere tutto. E noi come loro: anzi di più. Mai nella Storia abbiamo avuto così tante fonti e informazioni, eppure mai siamo stati tanto ciechi e sordi. La realtà è un caleidoscopio impazzito che non si ferma mai e non produce immagini comprensibili. Ci sfugge, diciamo. Ma siamo noi a disertarla. Ci crediamo al di sopra di lei e ci teniamo lontani. Umiltà, allora, significa scendere nella realtà.
Osservarla, toccarla, viverla. Ascoltarla. Chi non ascolta non può comprendere. E chi non comprende non sa. Non sappiamo niente e crediamo di sapere tutto. E ogni giorno la realtà ci smentisce: nessuno aveva previsto la Brexit e un solo commentatore aveva pronosticato la vittoria di Trump. In questo delirio, riecheggia ovunque una sola parola d’ordine: “Me ne frego!”. Espressione che noi italiani conosciamo fin troppo bene. È il viatico alla tragedia. A lei oppongo “I care”. “Mi interessa”, “ci tengo”, “ho a cuore il tuo problema” “conta su di me”. Non sono parole di Churchill, Mandela, Kennedy. E nemmeno di Obama, ma di un semplice prete fiorentino: don Lorenzo Milani. Le scrisse sulla porta della sua micro-scuola di Barbiana, a metà anni ’60. Dobbiamo ripartire da lì, se vogliamo dare forma alla realtà e non lasciarci deformare da lei. E dobbiamo farlo subito. Presto non avremo più la coscienza di ciò che va fatto. Né la capacità di farlo.