Ho utilizzato molte volte questa metafora del fiume carsico per rappresentare la vasta, articolata e complessa realtà del cattolicesimo politico italiano. Finita l’esperienza della Dc – facilitata dal suicidio collettivo compiuto dal Consiglio nazionale del partito il 18 Gennaio 1994 quando, su indicazione del segretario Martinazzoli, fu sancita la trasformazione nel Ppi, e, vissuta la lunga traversata, tuttora incompiuta, nella diaspora dell’ultra ventennio (1994-2016) – continua il travaglio di una realtà che sembra incapace di ritrovare insieme le ragioni di una nuova presenza significativa nella politica italiana ed europea.
Un travaglio che attraversa non solo il complesso mondo dei gruppi e movimenti di ispirazione cattolica presenti nella società civile, ma negli stessi gruppi, movimenti, partiti, e spezzoni di partito che si sono succeduti sin qui nell’impopolare sovrastruttura istituzionale e non della politica italiana.
Quanto ai primi, a parte la continuità di coerente fedeltà ai propri principi ispiratori del Mcl guidato da Carlo Costalli, l’importante esperienza del movimento del family day di Gandolfini e Pillon sta vivendo le difficoltà causate dall’azione separatista di Adinolfi e amici del Pdf, tutti alla ricerca di dare uno sbocco politico istituzionale al movimento valoriale da essi sin qui lodevolmente guidato.
Comunione e Liberazione e, soprattutto la Compagnia delle Opere, è alle prese con la difficile eredità post formigoniana, mentre le Acli, tutte spostate dagli ultimi presidenti sulle posizioni del Pd, dopo Todi 1 e Todi 2, hanno finito con l’accontentarsi degli strapuntini ministeriali assegnati agli ex presidenti Botta e Olivero nell’ultimo governo Gentiloni.
La restante vastissima realtà dell’associazionismo cattolico appare confusa e orfana di chiare e univoche indicazioni della pur assai disorientata gerarchia ecclesiale.
Finita con il Concilio Vaticano II ogni residua forma di collateralismo e con essa la stessa Dc che, negli ultimi tempi, fu sorretta quasi esclusivamente dall’occupazione e gestione del potere, movimenti e partiti che, a diverso titolo, in questi oltre vent’anni sono stati e sono tuttora riconducibili all’area cattolica, sono tutti finiti, a sinistra come a destra, nella sostanziale irrilevanza politica.
I primi, a sinistra, senza ridursi al ruolo di reggicoda dei vecchi comunisti, anzi conquistando non casualmente un ruolo guida nel PD, espressione del fu Pci-Pds-Ds-Margherita, sono ai vertice di un Golem senz’anima e senza una definita e riconoscibile identità politico culturale, obnubilata dal sostanziale trasformismo della guida renziana.
I secondi, nell’area centrista e di destra, sostanzialmente irrilevanti sul piano politico, dopo le giravolte pro domo propria dei diversi capi e capetti succedutisi nella lunga diaspora post Dc, da Buttiglione a Casini sino a Lupi e Alfano e ai diversi partiti e partitini sorti a misura degli interessi dei singoli leaderini, ridotti a supporti acritici prima dell’ex Cavaliere e ora del renzismo.
Ci sono poi quelli – ( penso alle recenti prese di posizione del prof Diotallevi ( da “Interris” del 9 Gennaio 2017:“Gregari? Ora basta”) e del prof. Giovagnoli ( da “Cultura e società” del 6 Gennaio 2017: “I cattolici tornino ad impegnarsi in politica”) – che sono impegnati nel tentativo di ricomporre l’area popolare e di ispirazione democratico cristiana italiana.
I “Dc non pentiti” non hanno lo sguardo rivolto al passato e non prevale in essi il sentimento regressivo della nostalgia. Hanno lucida coscienza della condizione in cui vive l’uomo oggi nella società occidentale, nella quale assistiamo a una concezione prevalente di relativismo in cui i desideri individuali si vogliono trasformare in diritti, contro ogni evidenza antropologica e concezione giusnaturalistica.
A livello esistenziale e socio culturale prevale una condizione di anomia: assenza di norme e regole, discrepanza tra mezzi e fini, il venir meno dei gruppi sociali intermedi. Di qui una condizione di frustrazione prevalente con possibili sbocchi nella regressione solipsistica o nell’aggressività individuale e collettiva latenti. Anomia anche a livello internazionale: visione cinese, visione islamica, visione occidentale e visione russa: quali compatibilità e secondo quali regole?
A livello più generale economico trionfa il turbo.capitalismo, con la finanza che detta i fini e la politica che segue quale intendente di complemento, con un rovesciamento generale di funzioni e di prospettive.
Se prima era la politica a fissare gli obiettivi e l’economia e la finanza a proporre le soluzioni tecniche per raggiungerli, oggi è il finanz-capitalismo che asserve la politica e la rende subordinata.
L’efficienza come fine esclusivo si riduce alla massimizzazione del profitto indipendentemente da ogni altro valore sociale e individuale.
Il bene comune non è più lo scopo della politica, subordinata ad altri valori dominanti che prevedono funzionalmente una quota rilevante del cosiddetto “ scarto sociale” (tra il 20 e il 30% della popolazione)
E’ in questa situazione di valori rovesciati e/o di disvalori che è riesploso a livello internazionale il grave scontro tra il fanatismo jihadista del movimento fondamentalista islamico e le altre culture religiose monoteiste: ebraismo e cristianesimo. Questo conflitto ha sostituito quello del XIX e XX secolo tra capitalismo e marxismo.
Quest’ultimo, anche là dove ancora sopravvive, si è trasformato in un ibrido capitalismo comunista e a livello mondiale assistiamo al confronto scontro tra le democrazie di stampo liberale e quelle autoritarie (Cina, Russia, Singapore, Turchia, Cuba e in molte regione ex Urss divenute indipendenti)
Il nostro sguardo è fisso in avanti, supportati dalla lettura critica più avanzata di questi fenomeni da parte, ancora una volta, della dottrina sociale della Chiesa: “Centesimus Annus” di San Giovanni Paolo II, “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI, “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco, sono le stelle polari che ci inducono ad assumere una nuova responsabilità come cattolici e laici cristianamente ispirati.
Di qui il dovere di tentare di tradurre nella città dell’uomo quegli orientamenti pastorali.
E, nella situazione concreta italiana, appare come prioritario il dovere di concorrere a ricomporre, dopo la lunga stagione della diaspora, l’area di ispirazione popolare per offrire al Paese una nuova speranza. Occorre farlo non da cattolici impegnati in politica, ma da cattolici e laici impegnati per una politica di ispirazione cristiana.
L’obiettivo principale è il tentativo di concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel Ppe da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alle sinistre e al trasformismo renziano e ai populismi estremi.
E’ necessario perseguirlo nella convinzione che per il bene dell’Italia sia importante che i cattolici tornino a contare e a collaborare con i laici moderati coinvolgendo le tante forze sane del Paese.