Ha provato a cambiare pelle, ad adeguarsi ai cambiamenti epocali che eliminavano la contrapposizione Est/Ovest, e per un lungo periodo c’è riuscito. Certo la mutazione ha imposto dei cambi di nome e di rotta, da Pci a Pds, da Ds a Pd, ma sembrava aver retto alla catastrofe dell’estinzione dei partiti. Fino a quando la mancanza di dialogo è diventata la cifra comunicativa (o d’incomunicabilità) del partito stesso.
E così il buon Renzi, a forza di non parlare con i sindacati, di snobbare le opposizioni interne, di evitare il confronto con chi la pensava diversamente da lui, ha provocato la distruzione dell’ultimo baluardo dei partiti in Italia.
Le posizioni nel centrosinistra sono contrastanti, e un po’ di ragione – a sentire le dichiarazioni – ce l’hanno tutti. Bersani e i suoi non possono pensare di restare in un partito che ha fatto della rottamazione e delle prove di forza il suo modus operandi, Renzi non accetta che qualcuno possa antidemocraticamente dire esplicitamente a qualcun altro di farsi da parte; nel mezzo c’è tutto il partito, da Emiliano che lancia la sfida al Segretario uscente a Rosy Bindi che ritrova l’aurea democristiana e invita al dialogo, a Prodi che vede la scissione come una iattura.
Ma se anche dovesse rientrare, la rottura rimarrebbe evidente. Come in un vaso caduto a terra e poi incollato; da lontano potrebbe sembrare come prima, ma nella sostanza sarebbe comunque un insieme di parti, non un tutt’uno, e comunque molto più fragile di prima.
La politica non è un’entità astratta, è fatta dagli uomini. Ed è in loro che bisogna cercare colpe o meriti, capacità costruttive o propensioni distruttive. In Italia da troppi anni la politica si è piegata agli interessi di parte, non solo intendendo l’ormai arcinoto teorema dei poteri forti, ma anche di una parte del partito.
E’ accaduto a destra, dove il grande centro dei moderati si è sfaldato, dove il centrodestra è riuscito nell’impresa ardua di parcellizzare sia il centro che la destra. Sta accadendo a sinistra. Con buona pace degli elettori, cioè dei cittadini.
Il resto del parterre politico basa anch’esso la propria sopravvivenza sullo scontro più che sul dialogo: i grillini sono i depositari della verità, la Lega dura e pura cavalca come può l’onda populista. Nessuno sembra capire il valore del confronto, la necessità di ritrovare una ragion di Stato prima ancora che un equilibrio europeo.
Alzare i toni dello scontro porta rapidamente in alto, ma non al traguardo. Renzi alla fine ha rottamato se stesso e, con lui, il partito. Grillo e Salvini rischiano la stessa cosa.
La politica, quella che segna le stagioni, è un derivato dello spessore umano. E nell’attesa che nasca un nuovo statista, che all’Italia manca ormai da troppo tempo, proliferano nuovi movimenti che pensano ad arrivare a diventare partito.
Speriamo capiscano che una nuova era politica è ormai segnata: tornare a mettere al centro dell’azione le persone, sia come cittadini che come onorevoli. L’alternativa, se così può definirisi – ed è sotto gli occhi di tutti – è il caos.