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Allarme colera in Sudan, ma il Governo nega l’epidemia

Gli operatori sanitari del Sudan orientale hanno riportato l’insorgenza di nuovi casi di colera in diverse aree dello Stato. Il colera è un’infezione dell’intestino tenue da parte di alcuni ceppi del batterio gram-negativo, a forma di virgola, Vibrio cholerae o vibrione, che si sviluppa per lo più in acqua e cibo che è stato contaminato con feci umane. Se i pazienti affetti vengono trattati rapidamente e correttamente, il tasso di mortalità è inferiore all’1%; tuttavia, senza trattamento, il tasso di mortalità sale al 50-60% dei contagiati.

Secondo fonti sanitarie sudanesi riportate dall’Agenzia Fides, l’epidemia è sotto controllo e le organizzazioni della società civile continuano ad impegnarsi nella lotta contro la malattia grazie alla distribuzione di farmaci da parte delle istituzioni sanitarie. Alla fine del mese di gennaio, il Ministero federale della Sanità ha registrato 333 casi negli stati di El Gedaref, Red Sea, Khartoum.

Tuttavia il Governo sudanese persiste nel definire la malattia, scoppiata sei mesi fa in alcune aree del Sudan orientale e a El Gezira, come diarrea acuta invece di colera. Secondo gli specialisti, tra cui il Comitato esecutivo dei medici, nel mese di gennaio i risultati dei test di laboratorio fatti su campioni di diarrea acuta nel Ahmed Gasim Hospital di Khartoum hanno invece dimostrato che si tratta di colera.

Non va meglio nel vicino Sud Sudan. Sono circa 300 i casi sospetti di colera registrati a febbraio nelle contee di Yirol East e di Awerial, ma il numero è destinato a crescere perché “allarmanti sono i racconti di chi arriva nei centri sanitari dai villaggi più lontani”.

Sono i dati che Medici con l’Africa Cuamm riporta dalle contee di Yirol East e Awerial (ex Stato dei Laghi) dove lavora e coordina l’attività di 16 centri sanitari periferici, che fanno riferimento all’ospedale di Yirol. Si tratta di un’area che presenta diverse complessità, dalle difficoltà per raggiungere le comunità che vivono sparse lungo il Nilo e lontane dai centri sanitari, alla problematica dell’offrire servizi adeguati a una popolazione che, dal dicembre 2013, è cresciuta sotto l’influsso di migliaia di sfollati (Mingkamen, Awerial).

“Non abbiamo ancora la conferma ufficiale che si tratti di colera, ma noi che siamo lì pensiamo sia molto probabile – dice Giovanni Dall’Oglio responsabile dell’intervento del Cuamm nella zona -. Nel novembre 2016, l’intervento del Cuamm nell’ex Stato dei Laghi si è esteso fino a coprire tutte e 8 le contee (comprese quelle colpite dall’epidemia di colera), arrivando a supportare 3 ospedali e 90 centri di salute periferici, per una popolazione beneficiaria di poco meno di 1 milione di abitanti, circa 250.000 bambini con meno di 5 anni e 58.000 donne in gravidanza”.

“Si tratta di un’area vastissima che comprende anche le sponde del Nilo e le sue isole, zone queste completamente sprovviste di alcun tipo di centro sanitario. Nemmeno un drugstore dove trovare salvavita per malaria, diarrea e broncopolmoniti. Non bisogna essere esperti di Salute pubblica per capire che quando abiti a più di 40 chilometri dalla più vicina unità sanitaria, la tua vita è appesa a un filo”, conclude Dall’Oglio.

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