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Le spine del Pontificato

Quattro anni vissuti sempre in prima linea sull’onda di una crescente popolarità internazionale che ha ridato alla Chiesa cattolica credibilità e prestigio, messe a dura prova dagli scandali della pedofilia tra il clero. Anni di gioie, ma anche di dolori, di affanni e di spine, rivelatesi dolorosissime e acuminate perché scoperte all’interno delle Sacre Mura vaticane. Quasi una moderna Via Crucis affrontata giorno dopo giorno sempre col sorriso e costantemente sorretto dalla totale fiducia nell’opera dello Spirito Santo. E’, sostanzialmente, il sintetico identikit del giovane pontificato di Jorge Mario Bergoglio, il cardinale argentino eletto romano pontefice la sera del 13 marzo 2013 intorno alle ore 20, dopo un breve Conclave convocato in fretta e furia in seguito alla improvvisa e traumatica rinunzia al governo della Chiesa di Benedetto XVI. Un evento che a sorpresa cambia la storia ed il volto della vita della Chiesa nel mondo e che proprio oggi taglia il traguardo del quarto anniversario.

Primo Papa latino-americano arrivato “dalla fine del mondo”, come lui stesso si autodefinì nel primo messaggio fuori ordinanza Urbi et Orbi dalla Loggia della Benedizione della basilica di San Pietro, dove aveva esordito con un semplice e spontaneo “fratelli e sorelle buonasera!, pregate per me” chinando il capo chiedendo di essere benedetto. Parole e gesti nuovi, per un papa appena eletto, che colpirono subito i cuori e gli animi delle migliaia di pellegrini radunati in piazza San Pietro e i milioni e milioni di telespettatori collegati in mondovisione. Ma soprattutto, primo Papa gesuita e primo papa a scegliere di chiamarsi, con una buona dose di coraggio, Francesco, prendendo a modello proprio quel Francesco di Assisi, il Santo dei poveri e della difesa del Creato per antonomasia, amato da tutti, credenti e non credenti, diversamente credenti, atei e, persino, laicisti,  facendo subito capire di che “pasta” sarebbe stato il suo papato. E infatti tanti sono stati i gesti – grandissimi e piccolissimi, ma sempre significativi – compiuti da Jorge Mario Bergoglio da quella sera del 13 marzo di quattro anni fa. A partire dal giorno dopo, il 14 marzo quando come un cittadino qualsiasi si presentò, vestito naturalmente di bianco a pagare il conto alla Casa del Clero dove era stato ospitato durante le Congregazioni generali preparatorie al Conclave del dopo-Ratzinger. Saldato il conto tra lo stupore e lo sconcerto del cassiere della Casa del Clero, eccolo come un fedele “qualsiasi” recarsi nella basilica di Santa Maria Maggiore a pregare la Madonna davanti all’icona della Vergine Salus Mundi tanto cara ai romani. Una “visita” – come un figlio che va a salutare la propria mamma – che il Papa, in seguito, farà ogni volta che rientrerà da un viaggio.

Non meno sorprendenti le parole pronunciate al primo incontro pubblico nell’Aula Paolo VI in Vaticano davanti ad una platea di giornalisti arrivati da tutto il mondo, ai quali confessa, tra l’altro, che uno dei suoi più grandi desideri è vedere “una Chiesa povera, vicina ai poveri e ai sofferenti, come un ospedale da campo, pronta ad aiutare tutti, senza guardare a nazionalità, religioni, orientamenti politici…”. Detto, fatto. Nei giorni successivi, chiede ai sacerdoti e ai preti di uscire dalle chiese e di stare in mezzo alla gente come i pastori stanno vicini alle loro pecore, conoscendone anche “il profumo”. E lui stesso come primo viaggio, sceglie, significativamente, di recarsi a Lampedusa per pregare per le vittime della ennesima tragedia del mare. Dalle grandi tragedie umanitarie, ai dolori dei poveri che gravitano intorno alla basilica di San Pietro: per loro attiva subito l’Elemosineria Apostolica facendo organizzare centri di accoglienza, ambulatori, barberie, docce, mettendo persino a disposizione dei clochard automobili del Vaticano per ripararli dal freddo della notte: “Le casse della Elemosineria devono essere sempre vuote perché le offerte devono essere subito destinate ai nostri poveri”, è solito spiegare Francesco.

Elencare tutti i gesti, grandi e piccoli, fatti da papa Bergoglio nei suoi primi 4 anni di pontificato sarebbe impossibile. Tra i più importanti la sua grande attenzione per il dialogo ecumenico che ha toccato – per ora – l’apice nel viaggio in Svezia, a Lund, per partecipare alle celebrazione dei 500 anni della Riforma luterana, facendo storcere il naso (e non solo..) ai benpensanti tradizionalisti e persino a qualche cardinale. Con Bergoglio è innegabile che l’ecumenismo ha avuto un’importante accelerazione che toccherà altri vertici nella prossima visita che farà in Egitto dove sarà il primo papa a essere accolto alla storica Università sunnita di Al-Azhar, dove non mancherà sicuramente di lanciare forti appelli al dialogo e alla pace universale, e di condannare tutti i fondamentalismi “religiosi”. Altrettanto forte il suo impegno contro chi “costruisce muri” e quanti promuovono politiche di respingimenti per chi fugge da guerre e persecuzioni, mettendo la questione dei migranti al centro delle preoccupazioni mondiali e europee. Come pure i suoi sforzi e i suoi moniti lanciati per bloccare le derive della globalizzazione capitalista indicando modelli economici di comunione e inclusivi dei più poveri.

Parole, moniti, appelli che hanno fatto di papa Francesco la più grande autorità morale contemporanea. All’interno della Chiesa, però, non mancano resistenze. Come dimostra, l’apertura ai divorziati risposati, a conviventi e a coppie di fatto, vale a dire quelle unioni non in linea con i canoni della tradizione cattolica che ha nella famiglia formata tra un uomo ed una donna sposati col sacramento del matrimonio l’irrinunciabile “requisito” per accedere ai sacramenti della Riconciliazione e della Comunione. Nei due Sinodi sulla famiglia, fortemente voluti da papa Francesco, l’ammissione ai sacramenti è stata prevista anche per quelle cosiddette “famiglie ferite”, a partire dai divorziati risposati, dopo una lunga fase di preparazione e di discernimento. Indubbie aperture contro le quali si sono schierati ben 4 cardinali (Burke, Brendmuller, Caffarra e Meisner) che, in una lettera aperta al Papa, hanno avanzato dubbi (“dubia”) e chiarimenti. Il prefetto della Congregazione della Dottrina delle Fede, il tedesco Gerhard Muller, ha persino scritto un libro, pubblicato nei giorni scorsi in Germania e non ancora uscito in Italia, dove sostiene che “nessun papa può mettere mano ai sacramenti”, in riferimento proprio alle aperture sinodali sulla famiglia. Spine dolorose per Papa Francesco che, però, non sembra disposto a farsi condizionare. Ma oltre alle pubbliche contestazioni che prendono forma, clamorosamente, da esponenti del collegio cardinalizio, a Bergoglio non ha fatto certamente piacere vedere che ben due esponenti della Commissione sulla pedofilia si siano dimessi accusando apertamente i dicasteri vaticani di non voler seguire le indicazioni papali sull’opera di pulizia e di trasparenza nei confronti di un male, la pedofilia tra una piccola parte del clero (ma anche un solo caso è troppo), che ha colpito la Chiesa. Due ulteriori elementi per una valutazione “ad intra” del quarto anno bergogliano sono poi il rapporto con i gesuiti e con il loro nuovo generale, il venezuelano Antonio Sosa, e il rapporto con la Chiesa italiana che si avvicina al cambio epocale del metodo di scelta del presidente: non più indicato dal papa, ma scelto da questi in una terna indicata dalla Conferenza episcopale.

La coda del quarto anno porta infine una accentuazione di polemica tradizionalista contro un papa considerato da alcuni “poco cattolico”, o troppo indulgente alla misericordia a svantaggio della dottrina. Oltre alle critiche – legittime per il popolo di Dio e doverose per vescovi e uomini di Chiesa – sono infatti comparsi intorno al Vaticano i manifesti irrisori e la falsa edizione dell’Osservatore romano. Nella recentissima intervista al quotidiano tedesco “Die Zeit”, Papa Francesco ha ribadito che “le critiche sono utili”, ma il falso Osservatore romano non va considerato come critica utile. Manifesti e falso sembrano la versione aggiornata delle stilettate di ambienti romani al papa, non solo a quello latinoamericano, metodo antico sempre pronto a tornare in auge quando non siano risultati efficaci altri elementi polemici o semplicemente quando si voglia far confusione, per i motivi più diversi e da parte dei soggetti più diversi che si possono annidare anche tra le mura vaticane.

Papa Francesco però non si lascia intimidire e va avanti con le sue riforme. I sinodi sulla famiglia, e quello annunciato per il 2018 sui giovani, sono parte integrante del rinnovamento della Chiesa nel senso della collegialità e sinodalità, mentre per la riforma degli organismi vaticani dobbiamo considerare gli accorpamenti tra i nuovi dicasteri e il varo della Segreteria per la comunicazione, parte della nuova costituzione sulla curia che è ancora in bozza. Se per i due nuovi “ministeri” su Sviluppo umano integrale e Laici, famiglia, vita, la filosofia di fondo è chiara, la Segreteria per la comunicazione è ancora impegnata in necessarie razionalizzazioni e economie produttive. Rinsaldato il legame del papa con la Compagnia di Gesù nella 36.ma Congregazione generale dello scorso autunno, grazie anche all’elezione del latinoamericano Sosa al generalato, i gesuiti sperimentano un nuovo modo di essere al servizio del papa, e lo sperimentano in cammino. Il rapporto di papa Francesco con la nuova fase della Chiesa italiana infine è di interesse perché la Chiesa di cui il papa è primate sperimenta, dall’elezione di Bergoglio, tutte le difficoltà di un cambio di rotta nei rapporti con la politica, con la società civile e con la pastorale. Più che cambio di rotta, un cambio di pelle dopo gli anni di Ruini e del ruinismo, emblema di quei “valori non negoziabili” che Bergoglio sembra avere messo in secondo piano.     

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