Un giovane sacerdote tre mesi fa in un’omelia, ha detto che la preghiera di domanda non è utile perché Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno, e perciò ce lo dà già. La preghiera è canto e lode, ringraziamento. Quel giovane sacerdote aveva dato inizio a un piccolo movimento e perciò mirava a produrre una spiritualità, che come tutti sanno non si crea, ma si riceve dallo Spirito.
Quella posizione mi ha fatto pensare non al meglio, ma al peggio, visto che è prete cattolico. Ma non è un caso isolato poiché, in ambito di gruppi nascenti, spesso si sente dire che quella di domanda è la più infima delle preghiere.
Sorprende questo dal momento che le domande sono ben presenti nel Padre Nostro. Da quale retroterra scaturiscono tali affermazioni? Non certamente da quello cattolico, ma piuttosto da impressioni, in terra cattolica, di echi ecumenici. Certamente si tratta dell’ecumenismo con il mondo protestante. Infatti è in questa realtà confessionale che troviamo un abbassamento del valore e, aggiungo, del significato della preghiera di domanda.
I protestanti non negano che ci sia la preghiera di domanda nella Bibbia, e anche in modo massiccio, ma la riducono a pratica per rafforzare il convincimento che Dio ci ascolta. Cito un passo tratto da un libro di Andrea Belli, un appartenente agli Evangelici: “Egli si compiace di ascoltare le nostre richieste. Egli le ascolta non perché non le conosca, ma perché noi stessi possiamo essere incoraggiati e fortificati dalla profonda convinzione che ci ascolta”. Il punto biblico che Andrea Belli considera come punto di partenza è quello di ( Mt 6,7-8): “Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate”.
Tale passo biblico il mondo protestante lo interpreta alla luce della sua dottrina della predestinazione che dice che Dio decide che parte degli uomini vadano in paradiso e parte all’inferno, ciò per sua decisione prima di ogni corrispondenza o meno dell’uomo, quindi la preghiera di domanda è utile solo quale esercizio di convincimento che Dio ascolta, ascolta, appunto la lode e il ringraziamento della salvezza ricevuta, per quelli che si credono dei predestinati al Cielo. La doppia predestinazione, di cui Calvino fu il promotore più netto, oggi è tuttavia abbandonata da molti, specie tra i gruppi pentecostali, a favore della universale predestinazione al Paradiso, e questo va bene, se non fosse al prezzo di negare l’inferno riducendolo a solo purgatorio nell’aldilà. La lode e il ringraziamento sono dunque di tutti, e questo spiega in buona parte l’estendersi impressionante del pentecostalismo, che non si pone come esperienza di eletti, ma di tutti.
Certo, i cattolici – ecumenicamente impegnati – che giungono ad abbassare il valore della preghiera di domanda non aderiscono a tali errori dottrinali, ma rimane loro la suggestione di diminuire il valore di questa pratica, a favore del meglio: lode e ringraziamento, mal leggendo Matteo (6,7-8), al quale vengono aggiunti, riguardo alle molte parole, qualificate come proprie dei pagani, Qoelèt (5,1): “Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferir parole davanti a Dio”, il Siracide (7,8): “Non ripetere le parole della tua preghiera”, Isaia (65,24): “Prima che mi invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati”.
Vediamo di dipanare in breve la matassa scompigliata. Dio certamente conosce il futuro, ma ciò che l’uomo farà liberamente e non come un automa guidato da Dio. Se noi consideriamo l’uomo come bloccato nel suo libero arbitrio, perché contaminato fino alla paralisi, seguiamo la prospettiva di Lutero; l’immagine dell’automa prendiamola solo come immagine. Dio non vive nell’eternità, egli stesso è l’Eternità, e perciò possiede un punto di vista che abbraccia tutti gli evi, futuri, quello presente e quelli passati.
Il Signore sa, e allora perché non ci dà, senza domandare? Si risponde che Dio non ci può dare ciò che noi non desideriamo. Mi spiego: se noi desiderassimo i beni della terra e non lui, allora se ce li concedesse li useremmo contro di lui, e in definitiva contro di noi, avendoci Dio creati per lui, cioè capaci di incontro d’amore con lui.
Ma il Dono dei doni, lui ce l’ha dato, di sua iniziativa, senza che noi potessimo immaginarlo, se non per qualche luce data ai profeti (Isaia, ecc), ed è qui il senso preciso del passo messianico di Isaia (65,25), come chiunque può controllare. Il dono è Dio stesso, venuto in mezzo a noi nel Figlio incarnato. Questo è il dono, come Gesù segnalò alla Samaritana (Gv 4,10). Esso va accolto, perché veramente sorpassa ogni immaginazione, e serve per elevarci alla gloria del Cielo dopo averci liberato dalle catene del male. L’alternativa è l’oscurità (Cf. Gv 1,10-12).
Ma posto questo Dono, perché Dio non ci dà quanto gli chiediamo, senza doverlo chiedere? Ciò potrebbe essere, infatti Gesù dice (Mt 6,33): “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”, intendendo però che con ”in aggiunta” non viene formulata la dispensa dal chiedere, ma la grande liberalità e gioia che Dio ha nel donarci quanto domandiamo. Che si debba chiedere il pane quotidiano ce lo dice il Padre Nostro
Chi accoglie Cristo e lo vuole seguire, secondo quanto lui chiede (Lc 9,32), subito avverte l’insufficienza delle sue forze nel seguirlo, e subito, con umiltà profonda, domanda a Dio di potere imitare il Maestro Salvatore, e il Signore lo concede: è sempre dono perché l’elargizione sorpassa sempre il valore della nostra preghiera.
La preghiera di domanda affiora subito dal cuore al labbro, oppure rimane formulata nel cuore, dove Dio vede. Dio ci ama per primo, la salvezza è il suo dono, ma Egli vuole la corrispondenza: senza questa non c’è amore. Il Padre non fa tutto, perché vuole il nostro amore; fa i tre quarti, e noi dobbiamo fare quel un quarto senza del quale non è possibile al Signore fare il resto. Senza la nostra volontà Dio non può nulla, sollecita la nostra volontà, ma non la abolisce di certo (Cf. Mt 16,24; 19,21), altrimenti ci farebbe degli automi. La regina dell’anima, come diceva san Francesco di Sales, è la volontà.
Seguire Cristo è essere associati alla Sua missione, in dipendenza di lui. E poiché la sua missione è stata quella di beneficare gli uomini ecco che il discepolo del Signore intercede per gli uomini, affinché abbiano pace e salvezza in Cristo.
Ma Gesù ci eleva al Padre nel dono dello Spirito Santo, il quale alita la preghiera dentro di noi (Rm 8,26): “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio”. Bisogna intendere che lo Spirito agisce in modo operante in noi e cooperante con noi, altrimenti sarebbe una realtà esterna a noi e noi saremmo degli automi, cioè dei non liberi, e Cristo ci ha liberati.
Certo i pagani credevano di essere esauditi a forza di parole, e indubbiamente una scultura non intende mai, oppure il dio dell’Olimpo poteva essere in viaggio, o addormentato, o affaccendato (Cf. 1Re 18,27). Chi ripete la cosiddetta filastrocca assomiglia a un pagano, ma non vuol ammetterlo. Semplicemente non vede che la sua preghiera è ridotta a un informare Dio, ma Dio non è nella condizione di essere informato, perché non sarebbe Dio, e Dio sa, sa da se stesso, in se stesso; ed è qui che trova collocazione il passo di Qoelèt (5,1), come anche il passo di Siracide (7,8).
La preghiera di domanda non consiste, dunque, nell’informare Dio, ma nel riconoscere umilmente il bisogno dell’aiuto di Dio. La liturgia delle ore comincia sempre con queste parole: “O Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto”. Essendo la preghiera azione d’amore, quella di domanda non può che essere azione d’amore.
Quest’ultima significa riconoscere, inneggiare la bontà di Dio, ed è perciò lode a Lui, che è infinitamente degno di lode (Ps 64/65,2; Ap 5,13), essendosi fatto conoscere in Cristo quale amore senza confine che vuole elevare a sé gli uomini, già avviliti dai peccati. E la lode è dolcezza perché (Ps 146/147,1): “E’ dolce innalzare la lode”.
L’azione d’amore è ricca di ringraziamento e di intercessione per gli uomini. L’amore a Dio non può essere disgiunto da quello per il prossimo (1Gv 4,21).
La preghiera, azione d’amore, si muove su quattro note: la domanda, la lode, il ringraziamento, l’intercessione. Queste quattro note sono sempre presenti anche quando ne viene espressa una sola.
Pregare non è pretendere, perché Dio non lo possiamo piegare a noi, e Lui ci dona, ma dobbiamo amarlo riconoscendo che ne abbiamo bisogno per salire a lui.
Pregare è azione d’amore, ma non lo sarebbe se ciò avvenisse nella disobbedienza alla Parola di Cristo, poiché Gesù ci dice (Gv 14,15): “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”; e (Gv 15,10): “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”.
La preghiera se è viziata nella fede, non può essere esaudita, perché Dio non si fa tentare; se la preghiera è contraria alla carità, Dio non la esaudisce, perché è contraria a lui stesso, alla sua volontà (Cf. 1Gv 5,14-15). Se Dio vede che quello che chiediamo è buono, ma potrebbe poi farci male (Dio è provvidente e previdente), ci esaudisce, ma secondo quello che vede essere per il nostro personale bene.
Dunque, la preghiera di domanda sarebbe infima se si limitasse solo alle cose della terra, ma voglio dire che sarebbe anche inesistente perché se si vogliono i beni provenienti da Dio senza volere Dio, non c’è più la preghiera, ma solo un’assurda pretesa.