Sulle nostre teste volano migliaia di rifiuti spaziali. Per “detriti orbitali” si intende tutto ciò che orbita attorno al nostro pianeta creato dall’uomo. Ricadono in questa definizione gli strati dei razzi, frammenti di satelliti, scaglie di vernici, polveri, materiale espulso dai motori dei razzi, liquido refrigerante rilasciato dal satellite nucleare ed altre piccole particelle. Per ripulire l’orbita terrestre dalla spazzatura spaziale arriva la “differenziata”: a separare alluminio, teflon e titanio potrebbe essere uno speciale radar laser, sviluppato al Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, in grado di localizzare i detriti spaziali distinguendoli per tipologia e materiale. Questo mentre i ricercatori francesi dell’Università di Tolosa, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea (Esa), stanno invece progettando dei “rimorchatori magnetici” che, come dei veri camion della spazzatura, potrebbero trascinare fuori dall’orbita i satelliti dismessi.
Rifiuti che viaggiano a 28 mila k/h
Queste ingegnose soluzioni sono solo le ultime proposte per affrontare il problema crescente dei detriti spaziali. Mentre numerose flotte di mini satelliti si preparano a popolare l’orbita terrestre, diventa sempre più urgente ripulirla dalla nube di detriti tecnologici (dai semplici chip di vecchi razzi ai pezzi di pannelli solari fino a interi satelliti fuori uso) che ronzano intorno al pianeta a oltre 28.000 chilometri l’ora: a questa velocità, perfino un detrito grande quanto un sassolino può causare seri danni ad un veicolo spaziale di passaggio.
La strategia della Nasa
La Nasa e il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti stanno già usando telescopi a terra e radar laser per tracciare gli spostamenti di oltre 17.000 detriti, in modo da evitare collisioni con le missioni in atto. Per migliorare il monitoraggio, gli ingegneri del Mit hanno sviluppato una tecnica di polarimetria laser che può anche decifrare il tipo di frammento riconoscendo il materiale di cui è fatto: in questo modo è possibile stimarne il peso e il potenziale distruttivo. I ricercatori dell’Università di Tolosa e dell’Esa pensano invece di usare dei ‘rimorchiatori’ in grado di generare dei forti campi magnetici per attrarre i satelliti dismessi e spostarli dall’orbita. La stessa tecnologia potrebbe essere usata per mantenere gli sciami di satelliti in stretta formazione evitando collisioni.