Sta facendo discutere, in questi giorni, l’offerta presentata da Intesa SanPaolo di un euro simbolico per assorbire degli asset delle banche venete, posizione, questa, che però è stata ben accolta dal mercato nel giorno dell’annuncio facendo riscontrare un rialzo del titolo quando nei mesi precedenti qualunque azienda osasse avvicinarsi alla Banca Popolare di Vicenza o a Veneto Banca avrebbe ricevuto una sonora bocciatura dagli investitori.
Al di là della cifra, che a molti sembrerebbe risibile, l’operazione, invece, risulta essere ben motivata e, addirittura, auspicabile in un’ottica di sistema e di valorizzazione di quello che resta dei due istituti. Attenzione, però, a non fare un parallelo inesatto con quanto successo in Spagna con l’acquisizione del Banco Popular da parte di Santander, qui la questione sarà ben più onerosa.
Si stima che il salvataggio degli asset ancora “appetibili” delle due banche potrebbe costare fino a 13 miliardi di Euro di cui otto/nove per coprire le svalutazioni dei crediti in sofferenza o incagliati da conferire alla Bad Bank e quattro per soddisfare le pretese di Intesa che non si muoverebbe senza una compensazione che si traduce, in pratica, in un’apertura del fondo esuberi per ridurre il personale, su base volontaria, fino ai sette anni dalla maturazione dei requisiti Ago per accedere ai trattamenti pensionistici sia per il personale delle “venete” sia per quello dei Ca’ de Sass e che i crediti in bonis assorbiti in seguito all’operazione comprendano anche gli accantonamenti per i rischi previsti dai regolatori.
Se l’offerta dell’istituto di credito milanese fosse accettata non si tratterebbe, però, di un regalo poiché la “parte sana” delle due banche venete potrebbe essere benissimo rappresentata da un Brand Equity azzerato, dalla rete commerciale (la maggior parte dei dipendenti, quindi) e da pochi clienti visto che la maggioranza ha già spostato i depositi e gli investimenti altrove. Si tratterebbe, quindi, di una soluzione di sistema per evitare criticità ulteriori.
A chi si chiedesse il perché si voglia salvare le banche e non le si lasci fallire come succede con mille altre aziende si potrebbe rispondere, senza paura di venire smentiti, che un fallimento bancario non è esattamente paragonabile a quello di una qualsiasi altra impresa: se questo non fosse, ovviamente, riferito una realtà piccola e locale (come furono le quattro banche della scorsa tornata) avrebbe un impatto sistemico e potrebbe ingenerare quella che in gergo si chiama “fuga dagli sportelli” anche dagli istituti sani.
Ora non si pensi agli emolumenti d’oro di molti top manager ma a cosa questo fatto possa significare in un Paese “bancocentrico” e dipendente dal credito come l’Italia.
Innanzitutto si vedrebbe l’incremento della disoccupazione, perderebbero il lavoro persone gente che guadagnano mediamente 1600 euro al mese per 13 mensilità (non 16 o 18 come tanti credono), ma soprattutto una contrazione del credito, perché senza depositi non possono esserci attivi. Quest’ultimo, infatti, è il punto centrale.
La fuga dei capitali dalle banche, l’invito a “tenerli sotto il materasso” che si sente spesso sui social, potrebbe innescare un nuovo credit crunch che comporterebbe di rimando una crisi sistemica della Pmi, che difficilmente può finanziarsi sui mercati finanziari ed è storicamente scarsamente capitalizzata in Italia, nuovi fallimenti e riduzione di investimenti e personale.
La soluzione proposta da Isp, invece, è una mossa per preservare l’occupazione nel settore, fatte salve le uscite volontarie con l’adesione al fondo esuberi, e il mantenimento delle linee di credito oggi esistenti, scongiurando ulteriori ricadute negative sul tessuto economico sia delle regioni in cui queste banche fossero presenti sia, in prospettiva, dell’intero Paese.
Non è possibile, quindi, considerare scandalosa l’offerta a 1 euro per Veneto Banca e Popolare di Vicenza con la condizione, voluta dal cda di Isp di un impatto patrimoniale neutro, quindi senza preventivi aumenti di capitale. A quanto esposto in precedenza sui costi reali dell’operazione a carico sia dello stato sia di azionisti e obbligazionisti senior e subordinati delle due banche venete vanno aggiunti i costi industriali di integrazione degli asset acquisiti nella struttura di Intesa Sanpaolo che saranno sicuramente elevati e completamente a carico di quest’ultima.
A voler essere pignoli, infatti, il continuo rimando al futuro di una soluzione efficiente, cosa che ha provocato un aumento della sfiducia verso un settore, quello bancario, che già non ha mai goduto di un buon nome nella popolazione, ha spinto i costi di una possibile chiusura della crisi verso l’alto e questo può essere considerato il vero danno creato alla collettività.