Ridotto in schiavitù, è stato torturato e ucciso dalle percosse del suo “padrone”. E’ quanto accaduto ad un giovane cristiano di 32 anni. Come riferisce AsiaNews, l’uomo, tale Javed Masih, risiedeva a Kamalpur in Sargodha Road, un quartiere di Faisalabad. Lavorava al servizio di Bilal Wahla, per saldare un debito di 350 mila rupie (circa 2900 euro) contratto dalla sua famiglia. Da “contratto” il giovane cristiano avrebbe dovuto pulire la casa del musulmano, prendersi cura degli animali, mungere le mucche e distribuire il latte. Ma la realtà era un’altra. Javed era ridotto in schiavitù. Accusato di aver rubato una motocicletta del padrone, il cristiano è stato pestato ripetutamente con bastoni e altri oggetti. E’ morto poco dopo in ospedale causa delle gravi torture subite.
Ridotto in schiavitù
Javed Masih era uno dei sei figli (cinque maschi e una femmina) di Irshad Masih e Naseem Bibi. Tre anni fa i suoi genitori hanno contratto un debito con un musulmano, di nome Wahla. Alla morte del padre, si stipulò un accordo con il ricco possidente: Javed avrebbe lavorato per lui in cambio di 7 mila rupie al mese (circa 57 euro) che sarebbero scalate dal dall’ammontare del prestito. Il “contratto” prevedeva che il giovane lavorasse 24 ore mensili. Ma di fatto lavorava 24 ore al giorno. Lo scorso 20 giugno, dei criminali, ancora ignoti, hanno rubato una motocicletta dalla tenuta privata di Bilal Wahla. Il musulmano ha incolpato del furto il suo dipendente. Lo ha torturato crudelmente, assegnandogli sempre nuove faccende. Javed, respingendo le accuse del furto, ha continuato a lavorare, memore del debito dei suo genitori.
L’uccisione
Il 18 luglio scorso, dopo aver portato a termine gli incarichi giornalieri, Javed ha chiesto un’ora di permesso per poter incontrare alcuni amici. Rientrato dopo due ore, ha trovato ad attenderlo il padrone furibondo che non ha voluto sentire spiegazioni. Così lo ha preso a bastonate fino a lasciarlo in fin di vita, sanguinante e con la spalla sinistra rotta. Il giorno seguente Javed è stato trasportato all’Allied Hospital di Faisalabad, dove i medici ne hanno dichiarato il decesso. A quel punto sono iniziate le minacce da parte del musulmano e di altri possidenti, che hanno tentato di corrompere la famiglia del cristiano per arrivare ad un compromesso. Di fronte al rifiuto dei Masih, Bilal Wahla ha provato ad insabbiare l’omicidio dichiarando: “Il ragazzo si è suicidato“.
La denuncia del fratello
Imran Masih, fratello maggiore di Javed, ha denunciato: “Vogliamo giustizia. Noi siamo poveri e perciò la polizia si rifiuta di ascoltarci e di registrare la denuncia. I grandi possidenti poi stanno minacciando gravi conseguenze perché ci siamo opposti a qualsiasi compromesso. Tutto questo avviene perché siamo cristiani e poveri”. Ma anche se la famiglia ha sporto denuncia presso la stazione di polizia di Nishatabad, oggi, lamenta Imran Masih, gli agenti “ancora non hanno accolto la nostra dichiarazione. Il dipartimento di polizia deve arrestare e punire il colpevole secondo la legge. Noi non vogliamo alcun compromesso. Vogliamo giustizia per nostro fratello innocente”.