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L'Accademia per la Vita e le sfide tecnologiche

“La vita non è un astratto universale ma si concretizza di fatto nelle persone umane, nelle loro diverse età, nella forza dei legami relazionali tra generazioni”. E' questo il quadro disegnato da mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, nel presentare la prima assemblea generale del rinnovato dicastero sul tema “Accompagnare la vita. Nuove responsabilità nell'era tecnologica” che si terrà dal 5 al 7 ottobre nell'Aula Nuova del Sinodo in Vaticano, aperta dall'intervento del Papa “che per noi sarà come la magna charta” ha detto Paglia. Tra le novità, la presenza di 13 giovani ricercatori previsti dal nuovo statuto.

Competenze più ampie

Mons. Paglia ha sottolineato che nella nuova prospettiva voluta da Papa Francesco, la Pav assume una dimensione scientifica, più che pastorale, ponendosi “a servizio della vita umana in tutte le sue fasi” e “al contempo ampliando i temi affrontati e le competenze coinvolte”. Questo è il motivo, ha aggiunto l'arcivescovo, per cui nell'Accademia sono stati nominati membri anche “scienziati di diversa appartenenza”. La sfida tecnologica è uno degli aspetti più delicati per l'influenza (o l'interferenza) che mezzi sempre più sofisticati hanno o possono avere nel generare e nel mantenere la vita. “Gli uomini – ha affermato mons. Paglia – possono deturpare l'intero creato con un delirio di onnipotenza che giunge perfino a pensare di creare una nuova vita umana”.

Pro life sempre e comunque

E a proposito dell'ampliamento delle competenze, Paglia ha anche detto che “se siamo pro life, dobbiamo essere pro life sempre, comunque e dovunque e non parlare solo di bioetica. Richiede anche all'Accademia di ripensare il valore semantico del termine vita che non può essere ristretto ad alcune prospettive bioetiche”. Rispondendo a una domanda sui “dreamers” e Trump, l'arcivescovo ha spiegato che l'immigrazione “è un tema che l'Accademia sente suo, ad esempio la questione della malattia degli immigrati, spesso oggetto di pregiudizi”. Perciò si vuole “declinare il tema della vita non solo in modo teorico, ma nei suoi contenuti storici e geografici. Chi è pro life deve occuparsi di tutti i temi relativi alla vita, compresa la pena di morte, la malattia, il commercio di armi”, affrontando la questione non solo in termini “medici”, ma anche “filosofici, teologici, biblici, antropologici”.

La mostra sulla vita

Mons. Paglia ha poi annunciato una serie di eventi finalizzati a coniugare “rigore scientifico e sapienza umanistica, passione per la verità e confronto tra diverse competenze e visioni del mondo” attraverso collaborazioni culturali di alto livello. La prima è con i Musei Vaticani e prevede una mostra in programma dal 6 ottobre al 5 gennaio, su un'idea di don Andrea Ciucci: “L'Accademia per la vita – ha spiegato a In Terris – proprio perché fa un lavoro scientifico e di alta cultura vuole collaborare con i grandi soggetti culturali. Il secondo aspetto è che la Pav ha tra i suoi scopi la divulgazione dei temi della vita. La scelta di collaborare con una grande realtà come i Musei è finalizzata a trattare in maniera ampia ma con una forma alta il tema e le questioni che affrontiamo nell'assemblea”. Di cosa si tratta concretamente? “Di 12 opere d'arte dentro i Musei commentati da altrettanti accademici della vita, ognuno dal suo punto di vista, medici, psichiatri, educatori, filosofi che raccontano questo intreccio i generazioni che si prendono cura vicendevolmente. Speriamo sia la prima di tante altre collaborazioni”. Nei prossimi mesi poi ci saranno altre iniziative della Pav: un convegno con la sezione europea della Wold Medical Association sul fine vita e in particolare sul suicidio assistito (“chiesto da un'associazione laica” ha tenuto a precisare mons. Paglia) a novembre, un grande evento sulle cure palliative a fine febbraio, un congresso in Russia in collaborazione con il Patriarcato di Mosca in primavera, una serie di seminari di studio sui temi del genoma umano, del rapporto tra mente e coscienza, della robotica, della generatività”.

E l'Humanae Vitae?

Nulla, invece, come ha confermato l'arcivescovo in risposta a una nostra domanda, in vista del 50° dell'enciclica Humanae Vitae nel 2018: “Al momento non ci sono iniziative specifiche ma penso che il tema della generazione e delle generazioni debba essere posto a riflessione. Non solo il problema, enorme per l'Occidente, dell'inverno demografico ma più in generale il tema della concezione dell'alleanza uomo-donna per la custodia del creato e della responsabilità di tutti i legami che da essa derivano. In questo senso va raccolta quella profezia del beato Paolo VI perché la tecnica non sia essa stessa la 'ratio' che guida il grande tema della generazione”.

Tecnologia e disuguaglianze

E dell'impatto della tecnologia sulla vita umana ha parlato in particolare il cancelliere della Pav, mons. Renzo Pegoraro, sottolineando gli aspetti etici che vengono continuamente sollevati. “La prospettiva è positiva – ha detto – non c'è paura della tecnologia, a cui Papa Francesco dedica un intero capitolo della Laudato si', ma occorre richiamare l'attenzione sui rischi e le conseguenze talvolta dannose del suo uso”. Ecco quindi la necessità di interrogarsi sui “valori etici e sulle modalità di gestire il potere affidato alla responsabilità dell'uomo”, non solo in campi come la procreazione ma anche nella sanità in generale, con “giudizi sulla qualità della vita, su chi merita di più o di meno certa assistenza” che comportano a volte “valutazioni più tecniche che umane. Si sta creando più giustizia in questo campo o si stanno accrescendo le disuguaglianze?”. Stesso discorso vale per il fine vita.

Il caso Charlie

Inevitabile pensare al caso Charlie Gard: saranno previste linee guida più generali? “Da due anni l'Accademia sta producendo atti sulle cure palliative per l'età geriatrica – ha risposto mons. Pegoraro – Per la fase iniziale della vita non abbiamo studi specifici sul ruolo della terapia intensiva e delle cure sperimentali. Però ci sono criteri etici per affrontare casi simili, che negli ospedali sono molto numerosi, nel modo più corretto e rispettoso possibile. Non c'è da aspettarsi regole standard ma una metodologia per affrontare queste situazioni”.

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