Una disputa illustre quella fra Donald Trump e Bob Corker, il potentissimo senatore repubblicano con il quale, nelle ultime ore, il presidente degli Stati Uniti ha maturato un attrito non certo di poco conto. Colpa delle dichiarazioni del membro del Congresso (nonché presidente della Commissione esteri) al “New York Times” dopo un diverbio fra i due via Twitter ma, ancora di più, di una politica presidenziale che, secondo Corker, potrebbe portare più guai che benefici: “Trump tratta la sua carica come un reality tv – ha detto al quotidiano della Grande mela -, come se stesse rifacendo ‘The Apprentice’, e a furia di minacciare altri paesi può trascinarci verso la terza guerra mondiale. Mi spaventa e deve spaventare chiunque abbia a cuore la nostra nazione”.
Corker vs Trump
Dissenso totale, dunque, fra il presidente e uno dei membri più influenti del suo partito, del tutto contrario alle scelte del Tycoon in politica estera (Corea del Nord e Iran su tutte) e ai toni usati anche in ambito internazionale, come nella recente Assemblea delle Nazioni Unite, dove Trump ha fatto il suo “esordio” in veste di Capo di Stato attaccando a testa bassa Kim Jong-un e il regime nordcoreano. Toni ironici e duri allo stesso tempo, evidentemente provocatori che, comunque, non sono piaciuti al senatore il quale, parlando della battaglia sul nucleare, ha sarcasticamente dichiarato che “gli unici che ancora separano il nostro Paese dal caos sono Tillerson Mattis e Kelly” (il segretario di Stato, il ministro della Difesa e il capo-staff della Casa Bianca). Scelte sbagliate nei modi e nei toni usati contro la Corea, quindi, ma anche responsabilità nell’accordo sul nucleare iraniano in una sequela di decisioni che, secondo il senatore, hanno reso la Casa Bianca “un asilo-nido per adulti. Dove qualcuno degli addetti ha saltato il suo turno di lavoro stamattina”.
La questione Tillerson
Il problema più grave che potrebbe derivare dallo scontro verbale fra Corker e Trump, potrebbe risiedere proprio nel ruolo fondamentale svolto dal senatore repubblicano che, qualora dovessero concretizzarsi le dimissioni del segretario di Stato Tillerson (per forti divergenze con lo stesso Trump), avrebbe il compito di valutare il candidato successivo che il Tycoon vorrà proporre per il ruolo. Del resto, la stessa questione Tillerson rischia di rivelarsi più spinosa del previsto: se il fedelissimo del presidente abbia davvero usato appellativi poco edificanti nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca in un vertice al Pentagono non è ancora chiaro. Di certo, Tillerson ha fatto sapere di non volersi dimettere ma, nei giorni scorsi, aveva già iniziato a circolare il nome di Mike Pompeo, direttore della Cia, per sostituire eventualmente l’uscente segretario di Stato. Una scelta che molti consiglieri ritengono saggia ma ancora tutta da applicare.