Un campionato bellissimo, la nostra serie A. Tutto fuorchè banale. Perché sarà pur vero che la Juventus è e resta ancora la squadra da battere, ma è altrettanto vero che la flotta delle inseguitrici fa decisamente sul serio rispetto al recente passato. Quattro squadre in tre punti, con la Roma al momento defilata a meno sette ma con una partita da recuperare. Lassù, dove tutto è immensamente più bello, continua a brillare la stella di Maurizio Sarri, quel Napoli costruito e plasmato ad immagine del tecnico toscano giorno dopo giorno, due anni di lavoro intenso, sul campo per trovare uomini ed equilibrio. E' la squadra che gioca il miglior calcio d'Italia, insieme alla splendida Lazio di Simone Inzaghi, un predestinato, visto che appena un anno fa doveva approdare sulla panchina della Salernitana in B. E invece il no di Bielsa a Lotito ha permesso un ritorno accolto con entusiasmo, perché Simone da sempre è laziale, ma anche con scetticismo. Scetticismo che quel ragazzotto nato nella Primavera ha battuto sul campo, con le sue idee, con il suo modo di fare calcio. Che non è diverso da quello del Napoli. Giocano e si divertono, Napoli e Lazio, quasi due sorelle, l'una più matura, quella azzurra partenopea, l'altra appena più giovane ma vogliosa di bruciare le tappe. Si dirà, il problema è la tenuta a lungo, soprattutto per il Napoli che ha una panchina corta ma con i primi undici al momento senza rivali. Di contro una Lazio bella con all'occhiello quel Ciro Immobile che a Siviglia guardano con tanto rimpianto pensando a quel che si sono persi. Immobile che adesso dovrà pure fare gli straordinari perché i suoi gol serviranno come il pane la prima decade di novembre, ovvero tra pochi giorni, quando la nostra nazionale sarà impegnata nel doppio confronto con la Svezia per ottenere il pass per Russia 2018. Ultima chiamata e serviranno non chiacchiere ma gol e Ciro è avvisato.
Sullo sfondo la Juve campione d'Italia per sei volta di fila e che sogna il record del settimo per dare un'altra spallata a quel Conte che credeva che il ciclo fosse finito. In realtà non è così. Il popolo bianconero vive momenti floridi perché la proprietà ha investito e molto, cosa che non era accaduta con Conte al quale Andrea Agnelli ha mancato anche di gratitudine per quello che ha saputo fare nei tre anni a pochi euro per rilanciare la Juve. In mezzo c'è l'Inter che al momento è a meno due dalla coppia Juve-Lazio, e meno cinque dal Napoli ma che stasera al Bentegodi contro il Verona ha l'opportunità di mettere la freccia e riprendersi la seconda piazza e riportarsi a meno due dagli azzurri di Sarri. Inter non sempre bella ma pratica, cinica quando serve. Merito di Luciano Spalletti che a Roma ha lasciato ricordi amari, soprattutto per come ha gestito il finale di carriera di una leggenda come Totti ma che conosce bene il calcio e che sa dove vuole arrivare. Se l'Inter è cambiata è merito suo. Compattezza, equilibrio e cinismo, ingredienti giusti per andare lontano. E non gioca le coppe che non è vantaggio da poco.
La Roma è lontana ancora tanto dal vertice ma deve recuperare una partita, quella di Marassi contro la Samp. Sette punti di ritardo dalla vetta che potrebbero diventare quattro qualora Marassi si colorasse di giallorosso. Roma che non incanta come una volta ma che vince, il massimo con il minimo sforzo, e che vuole diventare adulta con Di Francesco, giallorosso da sempre che dopo il Sassuolo ha scelto Roma per misurarsi, per crescere. Le sue idee non sono facili, il suo calcio deve ancora entrare nelle vene dei suoi, ma è brava persona, seria, meticolosa e soprattutto romanista, quello che mancava da anni al club di Trigoria. Se diventerà un grande lo dirà il tempo, ma intanto sta facendo benino, con due “buchi”, le sconfitte interne con Inter e Napoli, maturate in situazioni completamente diverse, che ne hanno limitato le possibilità di espressione. Ma ha tutto per crescere. E Roma lo aspetta.
La delusione si chiama Milan, sedici punti, lontano una vita dal calcio che i cinesi si erano immaginati dopo un'estate fatta di colpi. Ma trik trak e fuochi artificiali non sono sinonimo di vittoria. Chiedere a Montella che sabato contro la Juve ha forse giocato la sua miglior partita della stagione. Risultato: due a zero Juve. Ennesima bocciatura che a gioco lungo lo porterà lontano da Milanello dove non c'è una mamma che aspetta e perdona. I cinesi vogliono vincere, tornare in Europa e se il prezzo da pagare è l'addio a Montella, l'aeroplanino può pure rimanere a terra. Niente volo. E' tutto qua il nostro campionato e non è cosa da poco. Si affaccia in alto anche la Samp del vulcanico Ferrero che col poker al Chievo ha trovato il passo giusto. Di punti ne ha 20 ma deve recuperare con la Roma in casa. E quel giorno, una sarà di troppo. Altra delusione dal colore vivace, è la Viola di Stefano Violi: la Fiorentina a Crotone ha perso l'occasione per tornare a galla. Alterna cose belle ad altre da dimenticare, al pari del Milan, anche se gli investimenti sono decisamente diversi. Per il resto poche emozioni, con l'Atalanta che sembra pronta a spiccare il volo per poi tornare sulla terra, rigenerando un'Udinese dal passo incerto e dall'andamento lento. Come l'ex splendido Sassuolo che orfano di Di Francesco naviga a vista ai margini della zona salvezza. Otto punti, pochi, gli stessi della neo promossa Spal che col successo di ieri ha ripreso quota e fiducia, inguaiando un Genoa che non si aspettava una partenza così difficile e che adesso si ritrova terz'ultima insieme a quell'Hellas che stasera sfida l'Inter. Poi, sotto, c'è solo il Benevento che dopo undici giornate ha fatto zero punti e visto che i miracoli, calcistici, non sempre si ripetono (vedi Crotone dello scorso anno) sta già pensando alla prossima serie B. Nel posticipo della domenica sera il successo del Torino sul Cagliari si segnala soprattutto per il ritorno in campo di Belotti in prospettiva azzurra e per gli incidenti fuori dallo stadio tra opposte tifoserie.