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Ospedali cattolici pronti alla resistenza

Il biotestamento è legge. È stato approvato ieri in Senato con 180 voti favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti. Dopo le unioni civili, sul finire della legislatura il Governo può sfoggiare un altro asso di quelli che chiama i “diritti civili”.

Eppure, questi conclamati “diritti” appaiono quanto mai divisivi. In tanti, dentro e fuori dal Parlamento, hanno contestato la legge. Diverse le criticità rilevate, tra cui l’obbligo di attenersi alle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) anche per le strutture sanitarie private. Tradotto: gli ospedali che per motivi etici sono contrari a sospendere l’idratazione e l’alimentazione ai pazienti, non potranno appellarsi all’obiezione di coscienza.

Un’ipotesi che, tuttavia, le strutture sanitarie cattoliche non vogliono che venga nemmeno lontanamente ventilata. Lo spiega ad In Terris padre Virginio Bebber, presidente dell'Associazione religiosa degli istituti socio-sanitari (Aris).

Padre, la legge è stata approvata…
“La nostra posizione è chiara e corrisponde ai principi ispirati di recente da Papa Francesco in una lettera al Meeting Regionale Europeo della World Medical Association: né accanimento terapeutico né eutanasia”.

Il testo in questione apre all’eutanasia?
“Un paziente che firmerà le Dat potrà morire non della sua patologia ma di sete o di fame, perché idratazione e alimentazione vengono definite terapie in ogni caso, quindi anche quando non sono troppo gravose o di alcun beneficio. E la loro sospensione non giustificata continuerà ad essere considerata dalla Chiesa un atto di eutanasia”.

L’obbligo di osservare le Dat è esteso anche agli ospedali non statali, quindi anche a quelli religiosi…
“È inaccettabile. Così come lo è il fatto che ai singoli medici sia negata l’obiezione di coscienza. Viviamo in una società multireligiosa ed è giusto rispettare le sensibilità altrui. Ma lo stesso rispetto lo invochiamo per le strutture sanitarie religiose, che devono corrispondere sempre al proprio carisma e al proprio dettato etico”.

Nel corso del dibattito, avete presentato le vostre istanze ai parlamentari?
“Avevamo avanzato richiesta di un emendamento, secondo cui in presenza di queste situazioni, all’istituto sanitario religioso dovrebbe essere data facoltà di non seguire le disposizioni contrarie alle finalità etiche del loro servizio, e di provvedere – a spese dell’istituto – al trasferimento di chi reclama le Dat ad altre strutture pronte ad accogliere la sua volontà”.

Cosa ne è stato di questo emendamento?
“Il principio che vi è dietro è sostenuto da un articolo della legge concordataria confermato integralmente anche nell’ultima revisione del 1985. Si tratta dell’articolo 7 il cui comma 3 recita espressamente: ‘Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggettenel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime’. E obbligarci a procurare la morte a una persona, va contro le nostre finalità e quindi ci costringe a trasgredire una legge concordataria”.

Il Concordato sarà la base giuridica a cui vi appellerete…
“Non solo. Il comma 9 dell’art. 1 della legge in questione, rileva che l’obbligo ad attuare le Dat per le strutture sanitarie pubbliche e private deve avvenire ‘con proprie modalità organizzative’. Ebbene, questa frase potrebbe essere interpretata come la possibilità per noi di trasferire il paziente che abbia firmato le Disposizioni in un’altra struttura. Il nostro prossimo passo sarà chiedere un’interpretazione autentica di questo passaggio al Ministero della Salute”.

E se neanche questo passo porterà al risultato che auspicate?
“Vorrà dire che ricorreremo a tutti gli strumenti legali possibili per far valere i nostri diritti che – ripeto – sono stabiliti da una legge concordataria”.

Potete assicurare che le strutture sanitarie cattoliche non lasceranno morire i pazienti di sete e di fame?
“Assolutamente. Non eseguiremo nessuna sentenza di morte. Non siamo disponibili a far morire una persona, nemmeno cinque minuti prima della sua fine naturale. È un principio sacrosanto della Chiesa cattolica, basato sulle Opere di misericordia corporale ‘dar da mangiare agli affamati’ e ‘dar da bere agli assetati’”.

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