A130 anni dalla nascita e a 40 anni dalla morte di Giorgio de Chirico, Arezzo ricorda il garnde artista di Volo (Grecia) con una mostra del suo lavoro meno noto: la scultura. La mostra – presentata giovedì scorso nel palazzo della Provincia dal Presidente del’Ente Roberto Vasai, dal Presidente della Camera di Commercio Andrea Sereni, da Pasquale Giuseppe Macrì e Rossella Peruzzi per l’associazione “Arezzo Ars Nova” e dal curatore Fabio Migliorati – è allestita nell’atrio d’onore del Palazzo della Provincia, ad Arezzo
L’esposizione, che racchiude una decina di opere, sarà visitabile da oggi fino al prossimo 4 marzo ed è stata promossa dall'Associazione Culturale Arezzo Ars Nova in collaborazione con Casa d’aste Farsetti, Poleschi Arte, Galleria Tega, e alcuni collezionisti privati.
Le opere
Tra le opere esposte, cavalli in terracotta e cavalieri, bronzi patinati, archeologi, coloniali, manichini, una statua di Ettore e Andromaca e un’altra alta circa tre metri e mezzo.
Il curatore
“Quando la sera spengo la luce del salone che ospita le statue, questi personaggi, alcuni dei quali superano in altezza lo spettatore, sembrano continuare a guardarti – ha commentato su Arezzo Notizie Fabio Migliorati, curatore della mostra – e per chi li osserva è un’esperienza davvero emozionante. Ad Arezzo abbiamo accolto numerose mostre di pittura di artisti del Novecento, ma poche hanno riguardato la scultura. Per questa esposizione dedicata a de Chirico, a una delle tante chiese della città ho preferito uno spazio nuovo, decisamente interessante, capace di valorizzare quel senso di enigma e di mistero che l’artista ha voluto esprimere attraverso il suo lavoro. Nonostante de Chirico sia arrivato al gusto contemporaneo attraverso la pittura, questa mostra ci consente di apprezzarlo, probabilmente molto di più, attraverso la scultura. Questa riassume varie espressioni della prima carica vitale contemporanea. Il suo “immobilismo significante”, che diventa mossa comune per tante forme di futura visione, prorompe da stratificati versanti culturali, districandosi nella massa segnica per un’attività che si evolve sulla scorta di una scontata interpretazione dell'ornamento e di una passiva attribuzione decorativa”.