Cina infuriata con Mercedez Benz per una citazione del Dalai Lama contenuta in un post promozionale pubblicato sul profilo Instagram del gruppo automobilistico tedesco. Nel messaggio incriminato un aforisma del leader spirituale tibetano, arcinemico di Pechino: “Guarda alle situazioni da tutte le prospettive e diventerai più aperto”.
Il post della discordia
Postato lunedì scorso, il messaggio promozionale, che aveva già raccolto circa novantamila “like”, è scomparso il giorno successivo, e su Weibo, il social media più utilizzato in Cina, il gruppo ha scritto un messaggio di “sincere scuse” al popolo cinese per averne urtato i sentimenti citando la massima autorità del buddismo tibetano. “Ci impegneremo per approfondire la comprensione della cultura e dei valori cinesi, incluso il nostro staff internazionale, per dare uno standard alle nostre azioni e assicurare che questo tipo di questioni non si ripetano più”, ha Mercedes.
I media
Il gruppo è stato anche bacchettato da uno dei più noti giornali cinesi. Il Global Times, che si è rammaricato per errori di questo tipo. “Riconoscere l'errore e porvi rimedio è la più semplice verità, accettata sia dalla Cina che da altri Paesi”, è stato, invece, il commento alla vicenda del portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang, che ha richiamato al rispetto di alcune “regole di base” da parte delle aziende straniere per operare in Cina.
Precedenti
Casi come quello della Mercedes Benz non sono stati infrequenti negli ultimi tempi, così come i messaggi di scusa da parte di grandi gruppi che non vogliono perdere chance sul mercato cinese. C'è anche chi, come ha fatto un docente australiano di Etica Pubblica, Clive Hamilton, interpellato da Business Insider, ha parlato apertamente di “ricatto economico” da parte della Cina per questo tipo di pressioni. A destare la polemica con Pechino sono stati, in rapida successione, il mese scorso, anche le compagnie aeree Delta e Qantas, il gigante dell'abbigliamento Zara e la catena di alberghi di alta fascia Marriott per avere inserito nei loro siti web il Tibet o Taiwan alla stregua di Paesi indipendenti, e che Pechino, invece, considera parte integrante del proprio territorio