L'utilizzo della cannabis può davvero apportare benefici dal punto di vista terapeutico? Non ne sono affatto convinti i professori Adrian Reynolds, Jennifer Martin e Yvonne Bonomo, del Royal Australiasian College of Physicians (Racp). I quattro medici hanno firmato un articolo sul Medical Journal of Australia rilevando che non esistono certezze scientifiche in tal senso.
Il Governo australiano di recente ha aperto l'accesso alla cannabis medicinale principalmente su base compassionevole, e il suo schema speciale di accesso riconosce la scarsezza di evidenze di supporto a confronto con gli altri farmaci da prescrizione. I medici del Paese sono ora autorizzati a prescrivere cannabis nei casi di cure palliative, sclerosi multipla, nausea e vomito indotti da chemioterapia, dolore cronico ed epilessia.
“La rapidità e la portata dell'introduzione della canapa medicinale sono senza precedenti e hanno posto sfide per i professionisti sanitari, non tanto per le sue note proprietà di creare dipendenza e psicoattive, ma perché la sua introduzione non è stata preceduta dai consueti test di sicurezza e di efficacia basati sulla ricerca“, scrivono gli esperti, che avvertono – riporta Il Giornale di Sicilia – come il sistema sanitario stia “navigando in acque inesplorate”.
“Mentre il College of Physicians comprende l'interesse della comunità nei cannabinoidi come prodotti terapeutici, sottolinea che i consueti processi regolatori concepiti per proteggere i pazienti da gravi danni sono incompleti per i cannabinoidi medicinali. Inoltre, l'evidenza della loro efficacia per molte condizioni mediche è finora limitata“, aggiungono. Gli esperti stessi sottolineano la necessità che i medici mantengano un equilibrio fra il senso di compassione per i pazienti, la necessità di valutare la loro condizione e qualunque beneficio che la cannabis medicinale possa dare per le circostanze individuali.
“E' troppo presto per tracciare delle conclusioni e vi sono rischi associati con la liberalizzazione dell'accesso in assenza di requisiti regolamentari che ne dimostrino la qualità, la sicurezza e l'efficacia”, scrivono. “Sostenere i pazienti affinchè prendano parte attiva nella propria cura richiede che vengano loro fornite informazioni basate su evidenze sulle opzioni di trattamento disponibili”.