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Lo sterminio dei piccoli

Tanti sono i casi di bambini uccisi in nome della “qualità della vita” che, in questi ultimi mesi, risaltano alle cronache. Tanti altri non riescono ad avere neanche questo “privilegio”. Charlie Gard è il più conosciuto, il bimbo londinese che, su sentenza di giudici inglesi, muore alla vigilia del suo primo compleanno, il 28 luglio 2017. Ines, in coma dal giugno 2017 a seguito d’infarto: il Consiglio di Stato francese ha dato il via libera definitivo al distacco dalla ventilazione meccanica ai primi gennaio 2018. Anche Ines muore soffocata. Isaiah, nato in Inghilterra a febbraio 2018 e danneggiato alla nascita per errori medici, viene ucciso da una sentenza pochi giorni fa. Muore anche lui per asfissia. Poi c’è Alfie, nato a maggio 2016 e ricoverato dal dicembre di quell'anno a oggi, con tre gradi di giudizio inglesi in negativo e, a oggi, in attesa di conferma del ricorso alla Cedu. In caso non si proceda, la sua esecuzione di morte verrà eseguita questo venerdì. Anche per questo ultimo caso, come fatto in precedenza per gli altri, vorrei fare qualche puntualizzazione, anche in considerazione che ieri, per fugare ogni dubbio in materia, è giunto il seguente tweet lanciato dal profilo ufficiale del Pontificio Consiglio per i Laici, Famiglia e Vita:  “Prendersi #cura di #Alfie NON è #accanimento terapeutico”.

Alfie non è considerato deceduto secondo il criterio di accertamento della morte cerebrale e non versa in attiguità di morte, la quale – ahimè – arriverà, ma risulta lontana dal verificarsi in un periodo di tempo ravvicinato. Alfie ha bisogno di cure palliative e non di essere soffocato. Palliative intese come controllo dei sintomi come quello del dolore, gestito non con la sedazione profonda, ma con cure analgesiche adeguate e proporzionate; alla fornitura di idratazione, nutrizione e ventilazione.

Il piccolo Alfie è affetto da una malattia inguaribile, questo perché ad oggi nessuna conoscenza scientifica, diagnostica e terapeutica ha la capacità di poter contrastare il suo male. Molti sono stati i professionisti che lo hanno visitato e che hanno esaminato la sua cartella clinica. Le loro conclusioni sono state che Alfie va verso un processo progressivo degenerativo neurologico che purtroppo gli procurerà la morte. Questa conclusione clinica è documentata dalle analisi diagnostiche acquisite negli ultimi due anni le quali evidenziano delle lesioni cerebrali estese in diverse aree. Ma nonostante questo quadro clinico, molte funzioni fisiologiche del bambino, governate dal tronco encefalico, sembrano integre. L’attività del cuore è in sostanza stabile e con attività normale. Anche gli altri organi vitali sembrano funzionare correttamente.

Alfie è soggetto a delle convulsioni alle quali si è provato a somministrare dei farmaci, che purtroppo non hanno procurato l’effetto sperato. Il bimbo quindi è soggetto a delle crisi epilettiche che resistono ai trattamenti farmacologici, le quali sono dovute dalla sua grave encefalopatia infantile progressiva. Alfie ha bisogno di una respirazione meccanica per poter vivere e il sospendere questo sostegno vitale rappresenterebbe un atto eutanasico omissivo. Infatti secondo la Congregazione per la Dottrina della Fede (in Dichiarazione Iura et bona sull’eutanasia, II) per atto eutanasia s’intende “un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati”.

L’atto eutanasico avviene principalmente nelle intenzioni con cui si agisce più che nelle azioni procurate. L’idea di sospendere la ventilazione in Alfie per non farlo soffrire, avvia chiaramente l’atto appena citato. Infatti nella palliazione si ricerca la soppressione del dolore e si tollera come conseguenza la morte; nell’eutanasia, al contrario, si ricerca la morte per ottenere l’effetto della scomparsa del dolore.

 

Emmanuele Di Leo – presidente Steadfast Onlus

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