Siamo entrati nella XVIII legislatura sotto l'impressione che le recenti elezioni siano da leggere non soltanto sotto il profilo della cosiddetta tripolarizzazione, che è un fatto contingente, ma soprattutto sotto il profilo delle conseguenze istituzionali.
Intanto, non è un vezzo interrogarsi sulle cause dei risultati. Lascio il terreno facile delle cause occasionali di cui è sommerso il dibattito corrente per appendermi ad una considerazione quadro che esprimo con le parole di Stefano Dumont: “Se potessimo fare esattamente la storia di molti corpi politici, si vedrebbe che alcuni si conservarono, altri rovinarono per la sola differenza nei metodi di deliberare e di agire da loro adottati”. Qui, non facciamo la storia, ma abbiamo l'obbligo morale di denunciare il fatto che il tradimento della Costituzione repubblicana, ora tentato, ora perpetrato (e messo nella condizione di non nuocere grazie alla volontà popolare), da corpi politici figli di una prolungata crisi di rappresentatività morale, civile ed istituzionale, culminata con l'approvazione di leggi elettorali tanto incostituzionali quanto infamanti per il buon nome della Repubblica italiana, è alla base della loro rovina. Basti ricordare la relazione tra Parlamento e Governo, con il primo privato dai partiti del ruolo centrale di massima espressione del confronto democratico ed il secondo incapace di programmare e realizzare gli interventi necessari all'interesse generale.
E neppure è artificioso prendere atto che non possiamo più accontentarci delle dichiarazioni degli eletti, perché la politica continua a prodursi fuori dalle istituzioni. Siamo in presenza di un soffocamento della loro libertà di espressione. Guardiamo i “cinque stelle” o Grillini, che dir si voglia. Gli è stato ordinato di non parlare con i giornalisti. Che saranno anche cattivi, in qualche caso, ma sono un, anzi, il tramite democratico con l'opinione pubblica. A meno che nella aberrazione di una sovietizzazione elettronica del Paese, non si voglia fare a meno dei giornali e dei giornalisti.
Sgombro il campo da impressioni, che qualcuno potrebbe trarre dal titolo, di voler forzare la mano con toni esasperati. No, sono ispirato soltanto da un grande amore per la democrazia. Sono ispirato, per esempio, per puro esempio, da quanto annotava Geremy Bentham: “Quanto più un popolo sente di essere facile ad esser commosso e trascinato, tanto più deve farsi uno scudo con formalità che impongano la necessità della riflessione e prevengano le sorprese”
Le Camere sono lo strumento più perfezionato, lo strumento plasmato dalla storia, per garantirci alle sorprese di chi intenda esercitare il potere contro l'interesse generale, poiché quest'ultimo si fa solo attraverso il confronto democratico delle posizioni e degli interessi.
Comunque, se i parlamentari tacciono o sono costretti a tacere, parlano i soggetti che li guidano fuori dalle istituzioni. Si deve al Washington Post il merito di aver intervistato David Casaleggio che ha decretato, pochi giorni prima che il nuovo Parlamento si insediasse, il suo tramonto. In vista, c'è una piattaforma con i suoi padroni e una sovietizzazione elettronica. Non ho bisogno di ricordare che nella Russia di inizio novecento i soviet prima affiancavano la Duma (il loro Parlamento), e poi lo trasformavano in una tragica menzogna collettiva.
C'è bisogno di soviet elettronici per porre fine alla corruzione, combattere l'evasione delle imposte, proteggere l'ambiente, migliorare l'educazione, accelerare l'innovazione? Sono i mali degli italiani questi, ma non si trovano oppositori adeguati. Un tal Guizot, nel 1814, duecento anni fa aveva contribuito a scrivere una testo di Statistica morale del regno di Francia che aveva sviluppato una precedente iniziativa di definizione di un “Tavolo generale dello spirito pubblico”. Non fu mai preso in considerazione fino a quando Habermas non gli riconobbe il merito di aver formulato per primo l’ipotesi di un “regno dell’opinione pubblica”.
Siamo più o meno allo stesso punto, alla ricerca di una configurazione istituzionale che riconosca la supremazia dei cittadini sui governi. La risposta è un Parlamento che funzioni e che non sia schiavo dei governi. La risposta è un'opinione pubblica che controlli i poteri e lo faccia con la circolazione delle informazioni. La risposta non è nella sostituzione dell'assetto costituzionale del Paese. Continuiamo ad aver bisogno di rappresentanti onesti e competenti, non di improvvisatori dell'ultima ora, orientati, senza che neanche se ne accorgano, da soggetti che definiscono l'interesse generale sulla base dei loro interessi particolari fuori dalla trasparenza parlamentare.
Allora auguriamoci che le Camere si aprano al Paese, tutto intero, non a quelle porzioni minoritarie che della debolezza dei partiti, della loro inaffidabilità, del loro tradimento della Costituzione, si sono avvalsi per proiettarci, tutti, in una sovietizzazione elettronica.
Secondo l'ammonimento di Paolo VI, cinquant'anni fa, il mondo soffre di una mancanza di pensiero. Ricerchiamolo nelle nostre radici, non facciamo che ci venga suggerito da qualche algoritmo che della storia dell'uomo non ha memoria.