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Spunta il nome di Hannity fra gli assistiti di Cohen

Michael Cohen non mi ha mai rappresentato in nessun caso. Non l'ho mai trattenuto, ricevuto una fattura o pagato le spese legali. Di tanto in tanto ho avuto brevi discussioni con lui su questioni legali su cui volevo il suo input e la sua prospettiva”. Risponde in modo chiaro Sean Hannity, uomo forte di Fox News e grande sostenitore di Donald Trump durante le presidenziali del 2016, a chi voleva il suo nome accostato a quello del legale di lungo corso del Tycoon. O meglio, fra quelli dei suoi clienti: a indicarlo nella ristretta cerchia degli assistiti di Cohen, era stato un altro legale, Stephen Ryan, rappresentate del suo collega: sarebbe stato lui a fare il terzo nome in udienza a Lower Manhattan, oltre a quello del presidente e dell'ex vicepresidente della commissione nazionale repubblicana, Elliott Broidy.

Il nome di Hannity

Nonostante Hannity abbia prontamente negato di far parte della schiera degli assistiti di Cohen, il suo nome accostato a quello di Trump lo ha inserito quasi di diritto all'interno di quelli indicati come in orbita indagine. Qui il Russiagate c'entra relativamente e solo per vie traverse: il conduttore televisivo, conservatore, è stato in passato una sorta di consigliere del Tycoon, delegato (in via informale) più che altro alle strategie di comunicazione. Nel tempo, però, il rapporto tra i due si era fatto più saldo, tanto da indurre il futuro presidente a invitarlo a cena nella sua residenza di Mar-a-Lago e, prima, anche alla Casa Bianca. Ma l'indagine di Mueller qui resta solo di contorno: il nome di Hannity è venuto fuori durante un'udienza a Lower Manhattan, una di quelle che vede coinvolto lo stesso Michael Cohen (in merito ai documenti sequestrati dall'Fbi) il quale, interrogato dal giudice Kimba M. Wood, ha fatto ricorso al suo legale Ryan affinché rivelasse il nome del terzo cliente che, fra i 10 assistiti, non rientrasse nella cerchia dei 7 ai quali forniva assistenza strategica e aziendale. Gli altri due, Trump e Broidy, erano noti: il terzo pare fosse proprio Hannity anche se, inizialmente, Ryan sembra abbia provato a prendere tempo, affermando che l'ultima era “una persona di spicco” che avrebbe preferito mantenere l'anonimato.

Rapporti controversi

“Supponevo che quelle conversazioni fossero confidenziali – ha aggiunto Hannity su Twitter – ma per essere assolutamente chiari non hanno mai coinvolto nessuna questione tra me e una terza parte”. Il riferimento del conduttore è ai suoi colloqui con Cohen ascrivibili, a ogni modo, a contesti diversi da quello legale. L'emersione di rapporti preesistenti corredati da un'eventuale assistenza legale, però, potrebbe contribuire a far salire la tensione all'interno dello staff presidenziale anche perché in molti non hanno visto di buon occhio le sue interviste colloquiali con Trump. Hannity si è difeso più volte dicendo di “non essere un giornalista ma un conservatore schietto” e, per questo non soggetto a un'etica professionale in senso stretto. Nei giorni scorsi, in riferimento alla questione Cohen e dei documenti sequestrati, aveva affermato che “Cohen non è mai stato parte dell'amministrazione Trump o della campagna Trump. Questo è ora ufficialmente uno sforzo per mettere tutto a tacere e, se possibile, mettere sotto accusa il presidente degli Stati Uniti”.

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