L'aereo della Malaysia Airlines comparso nel nulla l'8 marzo 2014 con a bordo 239 persone, fu condotto deliberatamente dal pilota il più lontano possibile dai centri abitati e dai radar. Non sarebbe precipitato quindi per un incidente o per un attacco terroristico, ma la tragedia sarebbe il tragico epilogo di una “missione suicida pianificata a lungo”, come nel caso del volo Germanwings che si schiantò sulle Alpi il 25 marzo 2015.
La missione omicidio-suicidio del pilota.
Questa tesi è sostenuta da una commissione di esperti che si è occupata delle ricerche del velivolo. Le dichiarazioni sono state fatte durante la trasmissione televisiva australiana “60 minutes Australia”, durante la quale è intervenuto anche Martin Dolan, l'uomo che per due anni ha guidato le ricerche sottomarine dell'aereo. Come indicano i dati satellitari il velivolo della Malaysia Airlines, partito da Kuala Lumpur, è precipitato nell'Oceano Indiano, a ovest dell'Australia, a migliaia di chilometri da Pechino, la sua destinazione prevista. Gli esperti hanno puntato il dito contro il capitano Zaharie Ahmad Shah. “Voleva togliersi la vita e purtroppo ha deciso anche di uccidere tutti quelli che erano a bordo, facendolo deliberatamente”, ha dichiarato Larry Vance, l'esperto canadese degli incidenti aerei.
Un'azione pianificata da tempo e minuziosamente
Secondo la commissione, il comandante del volo Mh370, aveva pianificato con cura minuziosa e da molto tempo tutte le manovre da mettere in atto per far sparire nel nulla il Boeing 777, spegnendo tutti gli strumenti e portandolo per quasi 200 chilometri furoi dalla rotta stabilita. A dare forza a questa ipotesi, il fatto che durante la perquisizione della casa del pilota e del copilota – avvenuta sei giorni dopo la scomparsa del velivolo – sono stati trovati dei computer. Su uno di questi era installato un software di simulazione di volo che sarebbe servito al pilota per studiare il cambio di rotta dell'aereo.