La condanna a 30 anni di reclusione per Michele Buoninconti, accusato di aver ucciso la moglie Elena Ceste, è stata confermata in Cassazione: la Suprema corte ha infatti rigettato il ricorso presentato dalla difesa dell'imputato e, a distanza di poco più di un anno (15 febbraio 2017) dal pronunciamento della Corte d'Assise d'appello di Torino, ha reso definitivo il verdetto. L'ex vigile del fuoco è stato dunque ritenuto colpevole dell'omicidio della donna 37enne, scomparsa dalla sua casa di Costigliole d'Asti il 24 gennaio 2014 e ritrovata priva di vita il 18 ottobre dello stesso anno. Già in primo grado, il gup di Asti aveva sentenziato per Buoninconti una pena di 30 anni, con il procuratore generale Giuseppina Casella a richiedere la conferma di condanna nel corso della sua requisitoria in quanto, secondo l'accusa, l'uomo avrebbe assassinato sua moglie per “rafforzare il proprio dominio unitamente a un sentimento di vendetta di fronte a tradimenti comprovati”.
“Chiara e premedita volontà omicida”
Il pg, davanti ai giudici, aveva definito Buoninconti un uomo “dalla personalità malvagia, che non ha mai mostrato pentimento e che non merita attenuanti: ha ucciso la madre dei figli per il più atavico dei sentimenti maschili, la sete di dominio e un malinteso senso dell’onore”. Per il procuratore, l'omicidio di Elena è stata una “chiara e premedita volontà omicida”, con una “evidente volontà di depistare da sé i sospetti e sviare le indagini”. Il corpo della donna, dopo mesi di ricerche, era stato trovato in un canale non troppo distante dall'abitazione: del delitto, Buoninconti si è sempre dichiarato innocente.
La tesi difensiva
Inizialmente, si era parlato di un allontanamento volontario della donna, pista percorsa dai legali della difesa fino al pronuciamento della Corte di Cassazione: secondo la tesi difensiva, Elena sarebbe rimasta vittima di un malore improvviso o di una caduta fatale, la quale sarebbe avvenuta mentre la donna vagava in stato confusionale. Gli avvocati dei familiari della donna però, Debora Abbatuzzo e Carlo Tabbia, hanno immediatamente ricordato come le prime domande che il marito della 37enne pose agli inquirenti, subito dopo l'annuncio del ritrovamento di un cadavere che sarebbe potuto appartenere a sua moglie, fossero inerenti allo stato di conservazione del corpo. Richieste che, secondo l'accusa, Buoninconti avrebbe fatto per “per essere certo che non poteva essere identificato”.