A volte i sogni più audaci si trasformano in realtà inimmaginabili. E' quanto accaduto in Madagascar grazie all'opera infaticabile di padre Pedro Opeka e che ora viene riproposto su scala mondiale, alla luce di quella “globalizzazione della carità” che abbraccia i poveri in qualunque posto si trovino. Chi è padre Pedro? Nasce in Argentina nel 1948 da genitori sloveni fuggiti dal regime comunista di Tito. A 15 anni decide di diventare prete, entra nel seminario dei vincenziani e dopo esperienze formative in Jugoslavia, in Madagascar e a Parigi, si trasferisce definitivamente nell'isola malgascia. Qui, nel 1989, fa un'esperienza decisiva, nella discarica di Tananarive, la capitale del Madagascar. I poveri, che vedono la discarica come ultimo rifugio dopo essere stati cacciati da città e paesi, scavano tra i rifiuti per trovare sostentamento. I bambini dormono coperti dalle mosche. Vi sono morti, giovani e vecchi, senza che vi sia qualcuno che abbia cura di seppellirli. La prostituzione dilaga. Vedere uomini, donne e bambini che vivono in condizioni così disumane, spezza il cuore di padre Opeka che inizia così a cercare un modo per aiutarli. Nasce così Akamasoa, che significa “buoni amici“. L'idea è relativamente semplice: unire le forze per aiutarsi reciprocamente e risollevarsi da quella condizione miserabile. In altre parole, aiutare le persone ad aiutare se stesse. Vicino alla discarica c'era una cava di granito: chiunque fosse disposto a lavorare poteva produrre mattoni, ciottoli, lastre e ghiaia da vendere alle imprese edili, e sarebbe stato pagato, un piccolo salario con cui comprare il riso e nutrire le famiglie. Oggi questa realtà vuole essere un monito per far sì che Akamasoa non sia un progetto isolato ma un esempio da replicare in altre parti del mondo.
Lo stesso religioso ha raccontato a Roma, dove si trova in questi giorni, la sua esperienza. “Vivere ad Akamasoa è innanzitutto azione, non parole: qui non nascondiamo mai la verità, cerchiamo di essere chiari quando affrontiamo problemi e non li aggiriamo ma li guardiamo in faccia: questa è sincerità” ha detto padre Pedro Opeka. Con il tempo, sono nati comitati per rispondere ai bisogni dei lavoratori, come la cura dei malati e la sorveglianza dei bambini; si è iniziato a costruire case; sono nati interi villaggi: oggi se ne contano 18, con case di mattoni e strade lastricate. Sono sorti negozi, officine, fontane d'acqua, illuminazione, scuole, asili nido e centri sanitari, un ospedale, luoghi di lavoro (cava, muratura, falegnameria, agricoltura, artigianato) uffici amministrativi, sale riunioni, campi sportivi e luoghi di culto. Tutti gli abitanti di Akamasoa lavorano, tutti i loro figli vanno a scuola, e la comunità in ogni villaggio gestisce il proprio governo locale. Cifre impressionanti: 25.000 persone beneficiano del progetto sociale e vivono nei villaggi di Akamasoa; 30.000 poveri ogni anno vengono ad Akamasoa per aiuti specifici (cibo, medicine, vestiti); 13.000 bambini accedono ad un percorso scolastico grazie alle scuole edificate. Sono 3.000 le case costruite.
Un'opera di valore immenso riconosciuta a livello internazionale, tanto che la Francia ha insignito padre Opeka della Legion d'onore, il più alto riconoscimento transalpino, e il suo nome è stato indicato tra i candidati al premio Nobel per la Pace.
Un modello che potrebbe essere esportato in tutto il mondo. Per questo la Congregazione della Missione ha lanciato un’esortazione molto forte, insieme ai rappresentanti delle Ambasciate presso la Santa Sede di Argentina, Principato di Monaco e Slovenia che sono state da sempre, insieme ai rispettivi governi, sostenitrici di Akamasoa. “L'iniziativa odierna – è stato spiegato alla stampa – vuole essere l’incipit di un percorso ben più ambizioso che desidera 'Fare di un sogno una realtà'. Questo è lo slogan che fa da filo conduttore alla 'rete solidale' che nasce oggi, alla presenza di altri Ambasciatori presso la Santa Sede e che vogliamo coinvolgere nell’obiettivo di far sorgere tante Akamasoa in quelle realtà del mondo dove la povertà è ancora un male da sconfiggere. Alla base di questa rete solidale contro la povertà mondiale che nasce oggi e che vede come soci fondatori la Congregazione della Missione e le Ambasciate presso la Santa Sede di Argentina, Principato di Monaco e Slovenia c'è la globalizzazione della carità, la sfida lanciata lo scorso anno dalla Famiglia Vincenziana, all’indomani dei 400 anni del carisma fondato da San Vincenzo de’ Paoli”.
“Vivere ad Akamasoa – spiega padre Opeka – significa intraprendere un viaggio per recuperare la dignità. Significa avere la schiena diritta e diventare una persona responsabile e rispettata. Significa anche iniziare una nuova vita fatta di lavoro, educazione e disciplina. Vivere ad Akamasoa significa anche accettare di vivere nella Verità e lottare ogni giorno per la giustizia”. E per descrivere questa esperienza ha usato espressioni semplici e forti allo stesso tempo: “Gioia, fratellanza, lavoro, lotta e, cosa più importante, la felicità dei nostri bambini perché ad Akamasoa abbiamo bambini che vivevano una vita disumana in discarica e ora sono veri bambini“. Senza dimenticare, conclude padre Pedro, “la Messa domenicale, che è una vera celebrazione per tutto il popolo perché tutti partecipano: tutti preghiamo, danziamo, cantiamo in comunione: è un'espressione di gratitudine a Dio per tutto il popolo di buona volontà che ci ha aiutato”.