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Roma all'ultimo stadio

L'inchiesta legata allo stadio della Roma (che ha portato all'arresto di nove persone fra cui il presidente di Acea, Luca Lanzalone, e il costruttore Luca Parnasi) ha riacceso sulla Capitale i riflettori dei media, nazionali e non solo.

Arresti

Andiamo con ordine. Mercoledì, alle prime ore del mattino, scattano le manette per 9 personaggi in un modo o nell'altro coinvolti nel progetto dell'impianto sportivo che dovrebbe sorgere a Tor di Valle. Si tratta di un'opera fondamentale per la riqualificazione di un quadrante abbandonato a se stesso e per rilanciare l'immagine di una città progressivamente divenuta incapace di attrarre investimenti, in particolare dall'estero.

L'impianto

I proponenti sono due: da una parte l'As Roma (totalmente estranea ai fatti contestati agli indagati), dall'altra Parnasi, proprietario dei terreni dove lo stadio dovrebbe essere costruito. Nell'affare rientrano anche un business center e una cittadella sportiva. Valore stimato: circa un miliardo di euro. Il primo progetto, approvato nel 2014 dalla giunta Marino, è stato successivamente modificato dall'amministrazione Raggi, con una sensibile riduzione delle cubature in cambio di minori opere pubbliche a carico di privati. Ciò ha inevitabilmente allungato i tempi per l'inizio dei lavori. Alla prima conferenza dei servizi in Regione (naufragata) ne è seguita una seconda che, lo scorso 5 dicembre, ha dato il via libera alla realizzazione. Per la fatidica posa della prima pietra serviva solo un ultimo step: l'ok dell'Assemblea capitolina alla variante urbanistica. Scattate le manette l'iter si è nuovamente (qualcuno dice definitivamente) bloccato. Dalle carte della procura della Repubblica di Roma sembra emergere un meccanismo corruttivo (da “asset di impresa” secondo i magistrati) volto a “oliare” politici e amministratori locali per spianare la strada alla costruzione dello stadio. Parnasi, dal carcere, si proclama innocente, sostenendo di “non aver commesso reati“. Saranno, ovviamente, i giudici a stabilirlo.   

L'altro scandalo

Il fatto avviene in un momento storico nefasto per l'Urbe, da anni dipinta come una città in declino, irrecuperabile, a un passo dalla morte civile. E, soprattutto, mentre è in corso il processo d'appello scaturito dall'inchiesta “Mondo di mezzo“. Quella, per capirsi, che vede coinvolti in qualità di imputati, tra gli altri, il “ras” delle cooperative sociali Salvatore Buzzi e l'ex terrorista nero Massimo Carminati. Un caso che ha sconvolto l'opinione pubblica romana e nazionale, mettendo a nudo un sistema criminale fatto di minacce, connivenze, corruzione, favoritismi interessati, spesso orditi alle spalle dei più deboli. Un terremoto che ha travolto numerosi esponenti delle istituzioni locali.

Spartiacque

Ecco, “Mondo di Mezzo” (o “Mafia Capitale” che dir si voglia), ha rappresentato uno spartiaque nella percezione di Roma da parte dei suoi stessi cittadini e degli osservatori esterni. Si è rapidamente passati dall'immagine di una metropoli meravigliosa (e lo rimane) ma problematica a quella di un'Urbe coacervo d'inciviltà, nel quale regna l'inghippo, lo spregiudicato aggiramento delle regole. Una Roma da “Romanzo Criminale” o da “Suburra” insomma. Un'esagerazione? Probabilmente. Roma conserva, infatti, intatte le sue enormi potenzialità. E prestarsi ad azzardate analisi antropologiche (come fa qualche blog locale) sul romano pigro, indolente, endemicamente avverso al rispetto della legge, non fa giustizia ai cittadini onesti, che sono la maggioranza. 

Problemi quotidiani

Tuttavia è indubbio che la Capitale viva una fase critica della sua millenaria esistenza. Una stagione che si prolunga ormai da troppi anni, trasversale ai colori politici delle giunte. Le cause sono diverse (un debito troppo alto, l'incapacità di costruire una classe dirigente capace, e così via) e i risultati sotto gli occhi di tutti. Pensiamo al problema dei rifiuti. La doverosa e necessaria chiusura della discarica di Malagrotta ha tolto alla città un hub fondamentale per il trattamento dell'indifferenziato. A ciò si aggiungono i quotidiani atti di vandalismo (per qualcuno addirittura di sabotaggio): cassonetti nuovi bruciati, secchioni pieni svuotati in strada da ignoti, mezzi dell'Ama manomessi di notte e quindi impossibilitati a svolgere la propria funzione. Atti che dalle periferie hanno raggiunto i quartieri più vicini al centro. C'è poi l'irrisolta questione delle buche. Piogge e gelate dello scorso inverno hanno letteralmente sfaldato gran parte del manto stradale cittadino rendendo necessari interventi d'urgenza con un ingente esborso da parte delle, già esangui, casse comunali. Infine il trasporto pubblico. I mezzi Atac avvolti dalle fiamme sono solo la punta dell'iceberg di un servizio lento, incapace di rispondere alle esigenze di cittadini e visitatori, imparagonabile a quello delle grandi capitali europei. 

Scappo dalla città

Scandali e disservizi scoraggiano il tessuto urbano, favoriscono le divisioni e incrementano (paradossalmente) un'arte di arrangiarsi che nel tempo si trasforma in individualismo spinto, nella perdita del senso del “bene comune”. Così le imprese scappano, le opportunità lavorative diminuiscono e i romani coltivano il desiderio di cercare fortuna altrove. “Il problema non è Roma, è l'Italia” ha giustamente detto il premier Giuseppe Conte a proposito del presunto scandalo sullo stadio di Tor di Valle. E' vero. E questo pone un ulteriore responsabilità sulle spalle di chi governa il Paese. Quella di salvare Roma, di favorire un'inversione di rotta. Perché quel patrimonio di monumenti, di arte, di spiritualità, di parchi, di enogastronomia, di tradizioni unico al mondo non finisca con l'essere travolto dalla decadenza.   

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